Siamo tutti dimenticabili, i 'grandi' li ricordiamo perchè bisogna portare a casa un bel voto da scuola.

Mese: Novembre 2014

Lanciato “Sonic Highways”, il nuovo cd dei Foo Fighters

 
 

 

 

Nel 2011 i Foo Fighters di Dave Grohl conquistarono quattro Grammy. Il cd del momento titolava “Wasted Light”. Quel lavoro li fece volare in vetta alle classifiche di mezzo mondo. Sbalorditivo, per una band alternativa, quando alternativa è diventata parola vuota. Oggi che tutto pare alternativo, niente lo è. Comunque i Fighters sono veramente altro nel marasma di note e parole che soffiano in giro e il loro nuovo cd promette di raggiungere le stesse vette di “Wasted Light”. I Foo sono rock e raggiungono un pubblico enorme senza modificare il loro suono.

Grohl è il deus ex machina dei Foo Fighters, ma prima di essere l’inventore di questa band, vale la pena ricordarlo, era il batterista dei Nirvana. Ora suona la chitarra, ma questo probabilmente è solo un particolare. Per Grohl usare bacchette e tamburi o le corde di una Fender è la stessa cosa. L’importante è il risultato artistico non il mezzo. “Sonic Highways”, il nuovo album uscito in novembre, è un lavoro profondo e articolato. Grohl ne parla con impeto e passione ed è super attivo: l’anno scorso ha pure realizzato un film, “Sound City”, dove ha avuto come attore sua maestà Paul McCartney.

Sonic Highways è un’avventura artistica centrata sull’esperienza fatta dai musicisti in otto città americane. In ognuna di queste sono stati intervistati personaggi e artisti che hanno contribuito al loro nuovo album. Di conseguenza le tracce del cd sono spuntate come funghi fioriti nel sottobosco dopo la prima pioggia di settembre. Fra i nomi degli intervenuti non può non fare scalpore quello di Obama. Grohl ha dichiarato di essersi stupito per il cordiale coinvolgimento del Presidente. Infatti quest’ultimo, dopo la premiazione di un soldato, si è dedicato ai Foo con tranquillità assoluta. Dare una medaglia al valore militare e discutere di musica era sembrato a Grohl un binomio azzardato, ma i 15 minuti che il Presidente aveva promesso sono diventati tre quarti d’ora a dialogare su Stevie Wonder .

Anche la figlia dell’ispiratore di Dylan, quel Woody Guthrie spesso citato nei suoi ricordi giovanili, ha partecipato agli incontri. I nomi contattati sono stati tanti: Roky Erickson, Willie Nelson, Dolly Parton e altri. “Gli artisti fanno musica, che sia country come quella di Nelson o rock psichedelico in stile 13th Floor Elevator, poco importa: l’importante è che sia sincera e senza sovrastrutture”, hanno detto i Foo. Una tappa di particolare importanza emotiva è stata Seattle. La città dei Pearl Jam e di Jimi Hendrix, certamente, ma, soprattutto per Grohl, è il luogo dei Nirvana: “In quegli studi i Nirvana incisero il loro ultimo album, mentre i Foo Fighters vi hanno registrato il loro primo cd”, ha commentato il cantautore bolognese Mimmo Parisi, fan dei Foo sin dalla prima ora. Chicago è citato per l’intervento di Buddy Guy, guida artistica di Tom Morello e grande maestro blues. I Bad Brains e Henry Rollins sono accomunati nella puntata della capitale, Washington, indecisa tra monumenti scintillanti e sobborghi diseredati. Insomma un album, quello dei Foo, con un percorso emozionale come pochi. Alle otto città sono quindi dedicate le otto canzoni che costituiscono l’album:

  1. Something From Nothing – Guest Rick Nielsen
  2. The Feast And The Famine – Guest Bad Brains
  3. Congregation – Guest Zac Brown
  4. What Did I Do? / God As My Witness – Guest Gary Clark, Jr.
  5. Outside – Guest Joe Walsh
  6. In the Clear – Guest Preservation Hall Jazz Band
  7. Subterranean – Guest Ben Gibbard
  8. I Am a River – Guest Joan Jett
 Peter Cooper

« Convalido l’iscrizione a Paperblog sotto lo pseudonimo di tuttorocksound »

Jeff di Grace

Jeff Buckley
 Jeff Buckley stava per diventare un mito con un solo disco, Grace, destinato a rimanere uno dei capolavori degli anni ’90, quando una morte assurda lo portò via. Ma tutta la sua vita è segnata da un destino negativo.
 
Jeff Buckley 

Jeffrey Scott Moorhead nasce il 17 novembre 1966 a Orange County, da Mary Guibert (riconiugata con Ron Moorhead) e da Tim Buckley. Suo padre, uno dei più grandi cantanti e compositori della storia del rock, iniziava proprio in quel periodo la sua carriera, incidendo il primo disco e separandosi, dopo poche settimane, dal piccolo Jeff e da sua madre. Tim morì per overdose all’età di 28 anni, entrando nella leggenda della musica americana e trascinando suo malgrado il figlio, che vide per la prima volta poche settimane prima di morire, inconsapevole di un destino altrettanto avverso che si prospettava anche per Jeff.

A 17 anni Jeff forma il suo primo gruppo, gli Shinehead, a Los Angeles. Nel 1990 ritorna a New York e con l’amico Gary Lucas costituisce i Gods & Monsters. Ma i dissidi interni portano il progetto ben presto al fallimento. Jeff Buckley inizia allora una carriera solista suonando nel circuito del Greenwich Villane e rendendosi noto soprattutto per la partecipazione al concerto tributo in onore del padre, di cui interpreta “Once I Was” (da “Goodbye and Hello”). Le sue prime esibizioni avvengono in un piccolo club dell’East Village di New York chiamato Sin-E’. Nel 1993, dopo alcuni anni di gavetta, Jeff ha la possibilità, tramite la Columbia, di registrare il suo primo disco, inciso dal vivo, proprio nel “suo” club. Live at Sin-E’, contiene solo quattro pezzi, due dei quali sono cover, una di Edith Piaf e l’altra di Van Morrison, e due suoi pezzi, “Mojo Pin” ed “Eternal Life”.

Per promuovere il disco Jeff e la sua band partono per una tournée nel Nord America e in Europa. Visto il discreto successo, la sua casa discografica avvia una campagna promozionale per il suo primo disco completo Grace, pubblicato negli Usa nell’agosto del 1994. Nell’album si rivela tutto il talento di Jeff: la sua voce invocante sembra prendere coraggio per strada, finendo in un crescendo, intenso e doloroso. I testi – veri tormenti dell’anima e del profondo — pescano nel repertorio del padre Tim, ma anche di Bob Dylan, Leonard Cohen e Van Morrison. Il lavoro contiene dieci tracce: tre composte da Jeff, due in collaborazione con l’amico Gary Lucas, una con Michael Tighe e una con Mick Grondahl e Matt Johnson, più tre cover, tra le quali, da brivido, la meravigliosa “Halleluja” di Cohen.

Nell’album, Jeff Buckley suona chitarra, harmonium, organo e dulcimer, accompagnato da Mick Grondahl al basso, Matt Johnson alla batteria e percussioni, Michael Tighe e l’amico Gary Lucas alle chitarre. Grace risulta davvero un’opera carica di grazia, eseguita da un gruppo di tutto rispetto, con pezzi che esaltano le doti vocali di Jeff (in particolare le altre due cover, “Liliac Wine”, “Corpus Christi Carol”) tali da raggiungere una struggente intensità. Il canto di Buckley parte piano, modulando le inflessioni nello stile dei folk-singer, ma finisce sempre in un crescendo drammatico e “mistico”, lambendo blues e gospel. Uno stile ad effetto, che lascia senza fiato in ballate come “Lover”, “Ethernal Life” e “Dream Borother”, oltre che nella struggente title track. Musicalmente, sono il tintinnio della chitarra di Gary Lucas e i soffici sottofondi delle tastiere di Buckley a esaltare il senso di religiosità dei brani (meta’ dei quali sono di ispirazione liturgica). Arrangiamenti eleganti, a volte sinfonici, in bilico tra folk e rock, pop e soul, si combinano bene con l’esile trama delle melodie.

Nel 1997 viene avviato il progetto per la realizzazione del nuovo disco My sweetheart the drunk, che uscirà postumo, in una veste piuttosto grezza e visibilmente incompleta, con il titolo di Sketches (for my sweetheart the drunk).

La notte del 29 maggio l’artista si reca con un amico a Mud Island Harbor (Tennessee), dove decide di fare una nuotata nel Mississippi e si getta nel fiume completamente vestito. Qualche minuto più tardi, forse travolto dall’ondata di una nave, sparisce tra le acque. La polizia interviene immediatamente, ma senza risultati. Il suo corpo viene ritrovato il 4 giugno, vicino alla rinomata Beale Street Area. Aveva solo 30 anni. Le indagini stabiliranno che il musicista non era sotto l’effetto né di droghe né di alcol.

Nel 2000, la Columbia, dietro la supervisione di Michael Tighe e della madre di Jeff, pubblica Mistery White Boy, una raccolta dal vivo, e Live in Chicago (su dvd e vhs), concerto del 1995, registrato al Cabaret Metro di Chicago. Nel 2001, esce invece Live à l’Olimpya, ritratto del giovane Jeff nella sua Parigi, contenente brani del primo disco e qualche cover.

Emerso dal circuito folkie e bohemien newyorkese, Jeff Buckley si è dimostrato musicista di razza nonché musa ispiratrice di molti artisti rock, anche in epoca recente. Seppur meno geniale del padre, ha saputo in qualche modo tramandarne lo spirito fragile e disperato, rivelandosi uno dei “personaggi” di culto del decennio Novanta.

 
Gloria Carter, webber

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén