Siamo tutti dimenticabili, i 'grandi' li ricordiamo perchè bisogna portare a casa un bel voto da scuola.

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Aggiornamenti di musica e cultura

I ragazzi della Génération Bataclan

 

La recente vittoria relativa della destra francese ha riacceso gli animi. Alcuni mass media parlano di reazione Bataclan intendendo, ovviamente, questo risultato come un effetto proveniente dai recenti attentati terroristici. Fra tutti quello al Teatro Bataclan. Altri, più prosaici e distaccati o realisti, pensano che già da tempo aleggiava nell’aria il tentativo di dar potere alla Marine Le Pen e che i voti raccolti da quest’ultima ne sono semplicemente la prova che le cose stiano così. Qualunque sia la versione più attendibile, rimangono sul pavimento di quella sera terribile, i lamenti dei ragazzi della Génération Bataclan, come è stata definita.

Ci si può interessare in diversi modi di questo fatto, e degli atti terroristici in genere. Alcuni, come il cantautore emiliano Mimmo Parisi, lo fanno mettendo nero su bianco le loro emozioni. Il songwriter ha recentemente presentato “I tipi duri non scendono dal treno”, un album di 11 brani per le Edizioni Videoradio (Portera, Braido, Vercon etc.). Non era, ovviamente e immediatamente a ridosso dell’album, previsto un singolo con un tema storico, perché di questo si tratta, di Storia. Nessuno il giorno prima dei fatti tragici di Parigi poteva immaginare quello che è accaduto. Certo, anche in Europa, dopo l’11 settembre americano, ci sono stati attacchi terroristici. Ma in quei casi si trattava di eventi che seguivano una certa logica del terrore. Chi poteva sospettare che un ordinario concerto potesse essere preso di mira  dall’Isis?

Ecco quello che Mimmo Parisi ha detto in proposito al brano che farà uscire tra pochi giorni: “Va da se, intanto, che la data, lo capisce chiunque, ha un valore preciso. Pubblicare “Génération Bataclan” il 13dicembre è, da parte mia, un sentito omaggio a chi, e a qualsiasi titolo, ha subito il dramma di quella sera. Che si fosse allo stadio o in un bistrot a trascorrere il weekend o a un concerto, proprio da quest’ultimi prende nome il singolo, “Génération Bataclan”, la sostanza e l’offesa ricevuta dal destino non cambiano. Non potevo stare zitto. Così, ho semplicemente scritto dei versi e li ho musicati. Il risultato è “Génération Bataclan”. Penso che ognuno, come può, debba tenere viva l’attenzione su fatti di questa portata”.

Parole, musica e arrangiamenti – compresa l’orchestra in plugin – sono stati curati dall’autore. Drum campionata da Diego Romero. Le chitarre acustiche, il basso e il canto sono di Mimmo Parisi. Edizioni Stelledicarta. Il Cd sarà distribuito sulle piattaformi digitali. Cover di Testa.

Quando la (ex)politica da una mano agli U2

Bono Vox insieme ai suoi sodali di band fa assunzioni. Certo, in tempi di crisi è una bella notizia. tuttavia la notizia ha dei risvolti socio/lavorativi di marca diversa da quello che si potrebbe pensare. Comunque,  i  fan non abbiano paura. Non si tratta di un’integrazione musicale: gli U2 resteranno i soliti, Paul David Hewson ovvero e in arte Bono, David Howell Evans in arte The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen Jr. Il sodalizio ha invece un fine di tipo umanitario. D’altra parte, è noto l’impegno sociale che da anni il leader degli U2 dedica a questo tema. Quindi, questo connubio può essere letto come un’evoluzione del cammino intrapreso, per l’appunto e soprattutto, da Bono Vox. Douglas Alexander Montage è stato uno dei 40 parlamentari laburisti che, nel maggio scorso, il partito nazionale scozzese ha sconfitto. In quell’occasione, Alexander ha perso la sede di Paisley e Renfrewshire South. La sconfitta è stata particolarmente dolorosa perché il parlamentare aveva operato nel ruolo di ministro degli esteri ombra e partecipato attivamente alla campagna elettorale del leader del partito laburista Ed Miliband. È realistico pensare che, se le elezioni generali avessero preso una piega diversa, Douglas Alexander avrebbe potuto accedere al titolo di ministro degli esteri del Regno Unito. Tuttavia, l’attuale situazione è molto diversa dalle aspettative che il parlamentare nutriva.

Ora e superato l’impasse della sconfitta politica, l’ex parlamentare laburista – pubblicato sul Financial Times – ha comunicato il suo impegno a lavorare con Bono. In un momento storico che vede la musica e la società bloccate dal terrorismo, sicuramente un sodalizio tra rock e consulenza di formazione politica, diretto a garantire gli investimenti per lo sviluppo atto ad affrontare la povertà globale, assume particolare valore. La presenza di Douglas Alexander all’interno di un entourage rock e segnatamente, quello degli U2, ha destato una certa perplessità. Tuttavia, Bono Vox e Douglas Alexander Montage, vantano una una frequentazione già consolidata. Ad esempio, si può notare come già agli albori del terzo millennio – nel 2000 – il legame U2/ Douglas Alexander Montage fosse già in atto: all’epoca l’ex politico era Segretario di Stato per lo sviluppo internazionale. Alcune dichiarazioni di Bono e Douglas Alexander hanno suggellato con parole chiare gli intenti del loro connubio. Bono si è espresso così: “Veniamo da diverse arene, ma condividiamo l’impegno a combattere la povertà attraverso lo sviluppo sostenibile“. Douglas Alexander, sulla stessa linea, ha dichiarato: “Affrontare la povertà in patria e all’estero è una passione sentita, i Paesi in via di sviluppo hanno necessità di aiuto, ma hanno anche bisogno d’investimenti per generare prosperità”.

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“I tipi” pubblicati il 26 ottobre

Pooh, ultimo atto

 

L’autobus dei Pooh si ferma. Di benzina ce n’è. Tuttavia, non basta aver carburante per andare avanti: la strada è stata percorsa in lungo e in largo. E’ ora di fermarsi a guardare il panorama. Quindi, reunion finale per cinque musicisti che, chi più e chi meno e per cinquant’anni, hanno reso grande il celebre marchio ‘Pooh’.
I Pooh, nel tempo, hanno sperimentato stili musicali diversi, hanno cambiano musicisti, hanno lanciano carriere soliste, fino a rimanere, negli ultimi anni, in tre. Ora, comunque si presenti il domani, la band più longeva e famosa d’Italia, ha deciso di chiudere la carriera. Al proposito, Fogli – ritornato con il gruppo per la speciale reunion – ha dichiarato: “È stato bello fondere le voci insieme, tra l’emozione e il divertimento, ho ritrovato il suono dei Pooh, che sono quella roba là… Se penso che il gruppo chiuda la carriera sto male”.

I Pooh del saluto, quindi, saranno in cinque. La cosa può sembrare una novità. Non lo è affatto: la nascita della band – era l’epoca del beat – prevedeva proprio cinque elementi. Poi, come per quasi tutti i gruppi arrivati alla celebrità, ci fu una scrematura, un’auto selezione. Si ricordano, qui, i nomi di quelli che in ambito Pooh sono accomunabili, per carriera abbandonata, al più famoso ‘non Beatles per un soffio’: Pete Best. Fra i nomi degli ex Pooh ci sono, Valerio Negrini (batteria, l’unico che rimane, comunque, nell’orbita Pooh), Mauro Bertoli (chitarra solista), Vittorio Costa (cantante), Giancarlo Cantelli (basso) e Bruno Barraco (chitarra ritmica e tastiere). Inoltre, bisogna anche ricordare i nomi di Bob Gillot (tastiere) e Mario Goretti alla chitarra ritmica. Gilberto Faggioli, invece, sostituì Cantelli.

È proprio con il primo nome menzionato sopra che si è aperto l’incontro tra i cinque musicisti e la Stampa. “Dobbiamo tutto a lui”, ha esordito Facchinetti. Il ‘lui’ della frase è, ovviamente, Valerio Negrini, fondatore e monumentale paroliere. Negrini, rinunciò alle pelli – come già segnalato, era il batterista della situazione – per dedicarsi all’attività di narratore dei Pooh: infatti, la maggior parte dei successi del gruppo, è legata alla sua straordinaria capacità di dare concetti in rime alle note del compositore di turno in casa Pooh. Valerio era ritenuto il quinto Pooh. Quando rinunciò ai tamburi, intervenne Stefano D’Orazio. Anche Red Canzian deve ringraziare qualcuno e l’ha dichiarato: “Non avrei mai pensato di ritrovarmi sul palco con il bassista che mi ha preceduto, sono quello che lo conoscevo meno e sta nascendo una bellissima amicizia. Fino all’altro giorno accendevo un cero davanti a Nicoletta Strambelli (Patty Pravo, ndr) che se lo era portato via”. La frase è indirizzata, va da sé, a Riccardo Fogli. Il percorso musicale/stilistico previsto per l’addio è quello storico: passando dal beat, al pop, al rock progressivo. All’interno delle pubblicazioni settembrine, e, come primo passo del programma d’addio che si concluderà nel 2016, c’è l’immissione nella rotazione radiofonica, a iniziare dal 29 settembre, di “Pensiero”. Questo brano, secondo gli stessi musicisti, è quello che più li rappresenta nel mondo. La canzone è caratterizzata da due fattori. Il primo è legato al fatto che, a riproporla, è proprio la stessa line up storica: Stefano, Riccardo, Dody e Roby. Il secondo punto, invece, presume per essa un nuovo arrangiamento. Quindi e in definitiva, la reunion prevede le presenze di Roby Facchinetti, Stefano D’Orazio, Dody Battaglia, Red Canzian e Riccardo Fogli. Il quintetto pubblicherà un great hits il 28 gennaio del 2016 e, a giugno, farà due concerti: il primo in data 10 a San Siro; il secondo, all’Olimpico il 15. Poi, l’addio alle scene.

Le stelle di Dolcenera

Dolcenera parla di stelle, e lo fa attraverso un suo nuovo lavoro discografico.  Da qualche tempo è passata all’Universal. E’ stata una buona mossa. Vincente. La label le ha permesso un modo più libero di esprimere le proprie emozioni artistiche. I nuovi collaboratori le hanno dato la possibilità di essere se stessa. Senza remore. “Niente filler”, questa è stata la parola chiave che la invitava a mostrare senza filtri le proprie capacità. Da un punto di vista tecnico, la frase indica semplicemente di non creare riempitivi, o comunque canzoni che servano a occupare mero spazio sul Cd di turno. Sarà riuscita, la bella interprete salentina, con “Le stelle non tremano”, nell’intento?

A giudicare dal tempo occorso per la sua realizzazione – circa due anni e mezzo – e dall’ascolto, “Le stelle non tremano”, non possono che…emanare luce radiosa e bellicosa, visto che il timbro vocale di Dolcenera permette anche quel colore che oscilla tra dolce e amaro. D’altra parte, la cantante si chiama Dolcenera, dove il suffisso “nera” potrebbe benissimo essere assimilato al gusto aspro che, a volte, si sviluppa dalle pieghe roche della sua voce. Da un punto di vista stilistico, il nuovo album spazia in diverse direzioni, senza comunque spingersi, ad esempio, verso arrangiamenti alla Lemmy dei Motorheads , che potrebbero risultare eccessivi.

I colori che permeano il suo nuovo lavoro vanno dall’elettro – pop alle contaminazioni che i venti dell’est Europa, ormai da alcuni anni, soffiano su culture musicali più classiche come possono essere quelle francesi, spagnole e, ovviamente, italiane. Il trucco sta nel saper dosare bene questi colori: non è l’uso massiccio di essi che può creare la novità, ma piuttosto il loro utilizzo parsimonioso. È così che, ad esempio, ad un attento ascolto, è possibile notare che una certa melodia sa di balcanico, di bulgaro. Certo, come ha detto la stessa Dolcenera, non è semplicissimo dedicare attenzione a strumenti e arrangiamenti appartenenti ad altre culture. A dimostrazione, alcune cose, ha affermato l’artista, sono state scritte durante la tournée cinese: ecco, allora, che scatta non l’arbitrario, ma la ricerca musicale che viene fuori dal respirare “live”, letteralmente, un’altra cultura.

Dolcenera e i suoi musicisti hanno all’attivo una frequentazione ad ampio raggio dei generi musicali. Perciò, in questo ultimo lavoro, non manca neppure quel nascosto sapore anni cinquanta e sessanta riscontrabile anche nella produzione di colleghe d’oltreoceano. La data di uscita di “Le stelle non tremano”, 11 settembre, coincide di sicuro con l’attacco alle Torri Gemelle e all’America under attack. Tuttavia, come segnalato dall’entourage della cantante, quella data corrisponde anche al manifesto della lotta non violenta voluto dal grande Gandhi nel 1906: il titolo del nuovo album di Dolcenera, in definitiva, sta ad indicare che non bisogna avere paura.

Con Dolcenera (pianoforte e synth), nel disco sono presenti, Paolo Valli (batteria e percussioni); Antonio Petruzzelli (basso); Mattia Tedesco (chitarre); Michele Papadia (hammond e piano elettrico); Michele Monestiroli & orchestra (archi); Daniele Moretto (tromba e trombino barocco); Alessio Nava (trombone); Francesco Sighieri (cori).

Ecco i titoli dei brani presenti:

01. Niente al mondo 02. Immenso 03. Un peccato 04. Figli del caos 05. Accendi lo spirito 06. Credo 07. Il viaggio 08. 2vite 09. Fantastica 10. L’anima in una lacrima 11. Universale

Buone nuove, Parisi: Ce la possiamo fare!

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Apre le danze lo stesso autore: “Ce La Possiamo Fare è, prima di tutto e prima che si perda di vista la cosa più semplice da segnalare, una canzone. Una canzone di solito è, perlomeno per me che non devo ubbidire alla grande industria – non lo dico per polemizzare, semplicemente è così – una sintesi delle ultime ‘narrazioni’ che mi sono capitate di vivere: io sono un cantautore freelance, e, quindi scrivo quando ho qualcosa da dire.
Quindi, niente pungoli da alcuno per onorare contratti più o meno luculliani. Detto questo, Ce La Possiamo Fare, è un brano, se si vuole, di incoraggiamento. In un momento storico dove un Governo di sinistra(?) fallisce clamorosamente le aspettative più banali ed è pronto alla replica del ‘ventenniodelcavaliere’ (perfino il Contratto con gli italiani è stato bissato!), beh, che c’è da dire, che si può dire per incoraggiare la gente se non Ce La Possiamo Fare? Qualcuno più famoso di me ha evidenziato ‘Se bastasse una canzone’, lo so benissimo che non basta, tuttavia una voce durante la tempesta aiuta a non sentirsi soli”.

Da un punto di vista prettamente tecnico, il prodotto prevede, all’interno di una ormai consolidata produzione homerecording di tipo spartana e autarchica, un passo avanti per la registrazione e la finalizzazione. Mimmo Parisi, un po’ per convinzione e un po’ per situazione, non si è fatto mai prendere dal trip della registrazione: si fa quel che si può e non si sta ad aspettare che arrivi il sound engineer di Madonna che ti faccia un suono della madonna! Parisi, sulla scia di Gaber e Leporini, pensa che bisogna dire, ammesso che si abbia da dire, e non che bisogna mostrare (che cosa poi?).
Ce La Possiamo Fare promette delle chitarre gustose e le mantiene. Niente indici che scivolano sull’unica corda che si riesce a beccare per fare l’assolo (quest’ultimo, vale la pena segnalarlo, pur rimandando ai vari Satriani, Vai and C., risulta misurato pur facendo affidamento sulla tecnica). Lo stile The Edge tonica/quinta/sui cantini è carino, ma dovrebbe, ormai, essere fuori catalogo. La voce di Parisi galleggia egregiamente sulle note medio alte. Questo è un retaggio ovviamente da rock singer che, proprio per questo, fa di Mimmo Parisi un cantautore outsider. La parte testuale di Ce La Possiamo Fare tocca descrizioni quasi, in alcuni passaggi, da pop art alla Warhol: la citazione di frighi americani, Snoopy, Charlie Brown e Ferrari non dovrebbe lasciar adito a dubbi. Nel testo non manca lo sguardo che indaga l’ineffabile servendosi della quotidianità: “A volte guardo la luna su/E penso in fondo che/Nessuno manda bollette per la luce che da”.
Voto: 9

Giorgia Alberti, rock ed altre cose

Springsteen in incognito

 

 

 

Sul palco del Wonder Bar, si stavano esibendo Joe Grushecky and The Houserockers, ad un tratto un tipo alla Springsteen è salito, ha imbracciato la prima Telecaster a portata di mano e ha iniziato a cantare. Non era male quel tipo alla Springsteen. Sembrava proprio Springsteen. Era Springsteen!

Springsteen, accompagnato dai musicisti anch’essi colti di sorpresa, ha presentato, nel concerto del tutto improvvisato, la splendida canzone Never Be Time Enough. A questa sono seguiti altri motivi della portata di Adam Raised a Cain, Atlantic City, Because the Night, Code of Silente. Roba da non crederci.
E’ esperienza di molti osservare e incappare in situazioni para disperate: l’ultimo biglietto per il concerto ufficiale di Bruce Springsteen è stato acquistato già giorni prima, che fare? Niente, si rinuncia. In quest’occasione, invece, è bastato andare a fare due passi al bar giusto e, insieme alla birra e alla moneta di resto, si è scorto un tizio che canta e ti par di conoscere. Magari qualcuno avrà pensato a uno bravo che fa cover. Cover fatte bene, ma cover. E invece no, eccolo lì il cantante con la sua aria da operaio che ha appena smesso il turno e urla al microfono il suo dissenso verso qualcosa o qualcuno. Perché ci sono sempre qualcosa e qualcuno che non vanno. “E’ proprio lui!”, alla fine hanno concluso i fortunati. La piccola folla di astanti, presi tra un sorso di birra e un dubbio sul Boss, in men che non si dica si è allargata in maniera importante. Tanto che si è accalcata fuori invidiando le giraffe: una sequenza di cartilagini cervicali di quella portata sarebbe risultata utile per dare una sbirciatina all’interno del ‘bar della meraviglia’. Ma, come insegnano quelli che si contentano, la dove non arriva la vista, soccorre l’udito: la voce di Bruce passa e si propaga per la strada.
Chi ha voglia di vivere l’esperienza fatta da quei favoriti dalla sorte di Asbury Park, può navigare sulla rete e cercare un frammento dello show – quello in cui canta Darkness On The Edge Of Town –  su YouTube: non sarà come essere stato nella terra di Springsteen ma, anche se in differita, il divertimento e l’entusiasmo sono assicurati.

(A cura di Giorgia Conti, rock webber)

« Convalido l’iscrizione di questo blog al servizio Paperblog sotto lo pseudonimo Tuttorocksound»

Grecia: meglio gli Europe che l’Europa

Europe

 

Il titolo di questo articolo, è inutile dirlo, vuole essere un segnale piantato sulla boutade e sull’ironia. Sarebbe stato magnifico sentire, un attimo prima che il popolo di Pericle fosse costretto a ballare intorno al totem dei seggi, la voce, non di Joey Tempest che pure ci appassiona tanto, ma quella dell’Europa della Merkel. Sarebbe bastato dire: “Va bene, la vita è dura per tutti. E’ successo anche a noi: se, nel post seconda guerra mondiale, non ci avesse aiutato l’America – senza alcuna sicurezza che i loro soldi sarebbero tornati nelle casse dello zio Sam –  saremmo ancora allo sbando. Sediamoci e discutiamo senza spocchia il problema”. Ma questo non è avvenuto. Questa Europa, in modo del tutto tronfio e privo di basi veramenti amicali, alla fine del secondo millennio decise di fare concorrenza agli United States. E’ stato un fallimento. Probabilmente, se un miracolo non si abbassa a lambire le nazioni legate dal feticcio euro, la tanto sbandierata UE rischia di creare solo danni.

Invece eccoci qui a laudare non l’Europa, ma gli Europe di Norum e Tempest. Almeno loro sono fedeli alle loro sonorità, ai loro progetti – come l’ottimo War of Kings – uscito il 6 marzo scorso e grondante il tipico  sound (ma più blues) made in Europe.

A seguire uno stralcio delle immediate reazioni post elezioni greche:

“La proposta bocciata dal popolo greco era quella condivisa dagli altri 18 Paesi. Ora tocca al governo greco avanzare una proposta che convinca le altre nazioni”, ha detto il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz in un video messaggio. “La promessa di Varoufakis che le banche riapriranno domani e che ci sarà denaro disponibile mi sembra difficile e pericolosa: credo che il popolo greco vivrà in una situazione più difficile”.

Il premier italiano, Matteo Renzi, ha intenzione di fare pressioni affinche si esca dal format franco-tedesco. Renzi lo avrebbe detto chiaro e tondo a Francia e Germania: non serve un formato a due, ci vuole un coinvolgimento dei leader e delle istituzioni europee. Purtroppo Renzi, a dispetto del contenuto delle sue stesse affermazioni, è troppo preso a fare i self con Obama.

Massimo Albertini

Cinquant’anni di Beatles in Italia

Fabrizio Frizzi aveva solo sette anni quando i Beatles debuttarono live in Italia, con il concerto del 24 giugno 1965 al Velodromo Vigorelli di Milano. Fu poi la volta di Genova e, il 27 e il 28 giugno, di Roma: il piccolo Frizzi era lì nel pubblico del Teatro Adriano ad applaudire quelli che sarebbero diventati dei veri e propri miti della scena musicale internazionale. Oggi, a cinquant’anni di distanza, il conduttore li celebrerà in diretta su Rai 3.

Un ennesimo meritato impegno per Frizzi, ed un bel momento musicale nei palinsesti nostrani. Nel corso del programma, scritto da Mario Pezzolla con Matteo Catalano e Francesco Valitutti, ci saranno collegamenti e testimonianze originali, come i filmati amatoriali realizzati in concomitanza dei concerti o i souvenir degli stessi. E poi i servizi televisivi della Rai commentati dai loro stessi autori, come Gianni Bisiach o Furio Colombo; filmati d’epoca per tratteggiare la fisionomia dell’Italia in quel momento storico nonché i commenti del pubblico, invitato nelle scorse settimane ad inviare i propri ricordi e commenti attraverso il sito ufficiale della trasmissione.

 Ci saranno inoltre coloro che erano presenti fisicamente a quei concerti, magari a costo di peripezie giustificate dalla passione per la musica dei Beatles, e molti altri che avrebbero desiderato esserci. Ci sarà, in arrivo da Nashville in Tennessee, un protagonista fondamentale per il suono del quartetto, ovvero Ken Scott, allora giovanissimo sound engineer del gruppo. Insieme a lui e ai molti fan club riuniti per l’occasione, Fabrizio Frizzi ci guiderà in un viaggio nella storia e nelle creazioni dei Beatles, con le immagini di concerti tenuti in tutto il mondo e con numerose tribute band in arrivo da tutta Italia che suoneranno e canteranno “live” canzoni che hanno fatto e fanno ancora la storia della musica.

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