Siamo tutti dimenticabili, i 'grandi' li ricordiamo perchè bisogna portare a casa un bel voto da scuola.

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I ragazzi della Génération Bataclan

 

La recente vittoria relativa della destra francese ha riacceso gli animi. Alcuni mass media parlano di reazione Bataclan intendendo, ovviamente, questo risultato come un effetto proveniente dai recenti attentati terroristici. Fra tutti quello al Teatro Bataclan. Altri, più prosaici e distaccati o realisti, pensano che già da tempo aleggiava nell’aria il tentativo di dar potere alla Marine Le Pen e che i voti raccolti da quest’ultima ne sono semplicemente la prova che le cose stiano così. Qualunque sia la versione più attendibile, rimangono sul pavimento di quella sera terribile, i lamenti dei ragazzi della Génération Bataclan, come è stata definita.

Ci si può interessare in diversi modi di questo fatto, e degli atti terroristici in genere. Alcuni, come il cantautore emiliano Mimmo Parisi, lo fanno mettendo nero su bianco le loro emozioni. Il songwriter ha recentemente presentato “I tipi duri non scendono dal treno”, un album di 11 brani per le Edizioni Videoradio (Portera, Braido, Vercon etc.). Non era, ovviamente e immediatamente a ridosso dell’album, previsto un singolo con un tema storico, perché di questo si tratta, di Storia. Nessuno il giorno prima dei fatti tragici di Parigi poteva immaginare quello che è accaduto. Certo, anche in Europa, dopo l’11 settembre americano, ci sono stati attacchi terroristici. Ma in quei casi si trattava di eventi che seguivano una certa logica del terrore. Chi poteva sospettare che un ordinario concerto potesse essere preso di mira  dall’Isis?

Ecco quello che Mimmo Parisi ha detto in proposito al brano che farà uscire tra pochi giorni: “Va da se, intanto, che la data, lo capisce chiunque, ha un valore preciso. Pubblicare “Génération Bataclan” il 13dicembre è, da parte mia, un sentito omaggio a chi, e a qualsiasi titolo, ha subito il dramma di quella sera. Che si fosse allo stadio o in un bistrot a trascorrere il weekend o a un concerto, proprio da quest’ultimi prende nome il singolo, “Génération Bataclan”, la sostanza e l’offesa ricevuta dal destino non cambiano. Non potevo stare zitto. Così, ho semplicemente scritto dei versi e li ho musicati. Il risultato è “Génération Bataclan”. Penso che ognuno, come può, debba tenere viva l’attenzione su fatti di questa portata”.

Parole, musica e arrangiamenti – compresa l’orchestra in plugin – sono stati curati dall’autore. Drum campionata da Diego Romero. Le chitarre acustiche, il basso e il canto sono di Mimmo Parisi. Edizioni Stelledicarta. Il Cd sarà distribuito sulle piattaformi digitali. Cover di Testa.

Quando la (ex)politica da una mano agli U2

Bono Vox insieme ai suoi sodali di band fa assunzioni. Certo, in tempi di crisi è una bella notizia. tuttavia la notizia ha dei risvolti socio/lavorativi di marca diversa da quello che si potrebbe pensare. Comunque,  i  fan non abbiano paura. Non si tratta di un’integrazione musicale: gli U2 resteranno i soliti, Paul David Hewson ovvero e in arte Bono, David Howell Evans in arte The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen Jr. Il sodalizio ha invece un fine di tipo umanitario. D’altra parte, è noto l’impegno sociale che da anni il leader degli U2 dedica a questo tema. Quindi, questo connubio può essere letto come un’evoluzione del cammino intrapreso, per l’appunto e soprattutto, da Bono Vox. Douglas Alexander Montage è stato uno dei 40 parlamentari laburisti che, nel maggio scorso, il partito nazionale scozzese ha sconfitto. In quell’occasione, Alexander ha perso la sede di Paisley e Renfrewshire South. La sconfitta è stata particolarmente dolorosa perché il parlamentare aveva operato nel ruolo di ministro degli esteri ombra e partecipato attivamente alla campagna elettorale del leader del partito laburista Ed Miliband. È realistico pensare che, se le elezioni generali avessero preso una piega diversa, Douglas Alexander avrebbe potuto accedere al titolo di ministro degli esteri del Regno Unito. Tuttavia, l’attuale situazione è molto diversa dalle aspettative che il parlamentare nutriva.

Ora e superato l’impasse della sconfitta politica, l’ex parlamentare laburista – pubblicato sul Financial Times – ha comunicato il suo impegno a lavorare con Bono. In un momento storico che vede la musica e la società bloccate dal terrorismo, sicuramente un sodalizio tra rock e consulenza di formazione politica, diretto a garantire gli investimenti per lo sviluppo atto ad affrontare la povertà globale, assume particolare valore. La presenza di Douglas Alexander all’interno di un entourage rock e segnatamente, quello degli U2, ha destato una certa perplessità. Tuttavia, Bono Vox e Douglas Alexander Montage, vantano una una frequentazione già consolidata. Ad esempio, si può notare come già agli albori del terzo millennio – nel 2000 – il legame U2/ Douglas Alexander Montage fosse già in atto: all’epoca l’ex politico era Segretario di Stato per lo sviluppo internazionale. Alcune dichiarazioni di Bono e Douglas Alexander hanno suggellato con parole chiare gli intenti del loro connubio. Bono si è espresso così: “Veniamo da diverse arene, ma condividiamo l’impegno a combattere la povertà attraverso lo sviluppo sostenibile“. Douglas Alexander, sulla stessa linea, ha dichiarato: “Affrontare la povertà in patria e all’estero è una passione sentita, i Paesi in via di sviluppo hanno necessità di aiuto, ma hanno anche bisogno d’investimenti per generare prosperità”.

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“I tipi” pubblicati il 26 ottobre

Un peluche contro il Muro

Al di là del mare ci sono occhi che guardano all’Occidente. I migranti sognano la loro Terra Promessa. Arrivano con un sorriso di speranza e le tasche vuote. Hanno bisogno di vestiti, medicine, un panino fumante o una minestra fredda: è lo stesso, quello che importa è che sia caldo il benvenuto. E hanno bisogno di pupazzi di peluche: a qualsiasi latitudine i bambini non li riconosci dall’altezza ma dal peluche stretto come l’unica cosa che galleggia sul pianeta Terra. E loro, di galleggiamenti e mari da attraversare, ne sanno qualcosa. Questo esercito inarrestabile ha bisogno di soluzioni.

En passant, va preso atto che, nella Storia, vince e non si ferma, chi è numericamente maggiore e chi è più affamato: le forze politiche – a qualsiasi colore appartengano – , bisogna che tengano conto di questo, visto che alcune di loro non vogliono ascoltare quel senso di appartenenza al genere umano, che dovrebbe essere parte integrante anche della loro psiche.
Quando nel 1989 il Muro cadde fu una gran festa. Ora, con un popolo che scappa dalla guerra e dalla miseria, quel Muro è stato ricostruito. Non si vede. È nella testa di chi dice che quei bambini non sono i nostri bambini. Che la disperazione dei loro genitori non è la nostra.
Ma se le soluzioni sostanziali sono azioni di pertinenza, soprattutto, di statisti avveduti e Governi lungimiranti; in un contesto musicale, che aiuto, pur minimalista, si potrebbe dare al problema? Probabilmente nessuno.
Oppure sì, qualcosa gli artisti possono fare. Le canzoni sono fatte di parole che fanno discutere. Che mettono sotto il riflettore il tema.
Pertanto, ben vengano, ad esempio, musicisti come i Negrita che, in alcune loro pubblicazioni e già nel titolo, danno materia per accendere l’attenzione. Gli eventi e le date, nel loro caso si sta parlando del video “1989”, non sono solo da imparare per prendere un voto a scuola: essi sono ponti/collante che la Storia usa per collegarsi al presente.
Un altro artista che vale la pena indicare è il cantautore bolognese Mimmo Parisi e, segnatamente, un suo brano che si chiama programmaticamente, “A Berlino”. Questa canzone, pubblicata qualche tempo fa, in un contesto europeo che fa fatica a trovare soluzioni di apertura verso chi chiede asilo, è più che mai attuale. Il suo brano, tra le righe, sembra chiedere a cosa sia servito quell’annuncio clamoroso sulla caduta del Muro di Berlino, se adesso l’eurocentrismo europeo non sa fare altro che chiudersi a cerchio intorno ai suoi confini.
Ora e purtroppo, quel Muro pare ricresciuto. Come l’erba cattiva. Questa denuncia semantico/architettonica si chiude, inoltre, citando una band emergente che nella primavera scorsa, ha pubblicato un brano che si chiama proprio “Il Muro di Berlino”. Loro si chiamano VioladiMarte e sono calabresi. Il genere frequentato è un concentrato di indie rock e psichedelia, personal mood e armonie complesse. Il loro “Muro di Berlino” rappresenta, metaforicamente, le difficoltà odierne legate alla comunicazione interpersonale e, legato al tema dell’articolo si vuole qui aggiungere, soprattutto, difficoltà di ordine interrazziale.

Bellocchio e ‘Sangue del mio sangue’

 

 

Che s’intitola Sangue del mio sangue, e forse non è un caso (e non solo perché dentro c’è come al solito mezza famiglia, a partire dai figli Pier Giorgio ed Elena). In un tripudio di metafore e simbolismi (buoni sicuramente per un festival, un po’ meno per le sale). Mimmo Parisi, cantautore appassionato anche di film oltre che di musica, ha giustamente osservato che Bellocchio torna a declinare i temi a lui più cari – bellezza, follia, religione libertà -, tessendoli ancora una volta nei suoi luoghi natii, cinquant’annni dopo I pugni in tasca, tra le pietre scure affilate dal Trebbia e le strade addormentate di Bobbio, la sua città.

A Bobbio, in una prigione abbandonata nel convento di San Colombano, nel Seicento venne imprigionata Benedetta, una suora di clausura accusata di aver irretito un prete e per questo murata viva nella sua cella. Un destino simile a quello di Maddalena, la protagonista de La visione del Sabba (1988), rea di avere ucciso un cacciatore e per questo vittima della Santa Inquisizione. O, ancora, alla monaca di Monza dei Promessi Sposi, a cui Bellocchio dice di essersi ispirato. Il racconto parte con le atmosfere cupe de Il nome della rosa (inquinate da una colonna sonora sbagliatissima, i Metallica cantati dagli Scala & Kolacny Brothers), con tanto di sordidi personaggi “sacri” che commettono peccati in nome della religione.

Buone nuove, Parisi: Ce la possiamo fare!

celapossiamostriscia

 

Apre le danze lo stesso autore: “Ce La Possiamo Fare è, prima di tutto e prima che si perda di vista la cosa più semplice da segnalare, una canzone. Una canzone di solito è, perlomeno per me che non devo ubbidire alla grande industria – non lo dico per polemizzare, semplicemente è così – una sintesi delle ultime ‘narrazioni’ che mi sono capitate di vivere: io sono un cantautore freelance, e, quindi scrivo quando ho qualcosa da dire.
Quindi, niente pungoli da alcuno per onorare contratti più o meno luculliani. Detto questo, Ce La Possiamo Fare, è un brano, se si vuole, di incoraggiamento. In un momento storico dove un Governo di sinistra(?) fallisce clamorosamente le aspettative più banali ed è pronto alla replica del ‘ventenniodelcavaliere’ (perfino il Contratto con gli italiani è stato bissato!), beh, che c’è da dire, che si può dire per incoraggiare la gente se non Ce La Possiamo Fare? Qualcuno più famoso di me ha evidenziato ‘Se bastasse una canzone’, lo so benissimo che non basta, tuttavia una voce durante la tempesta aiuta a non sentirsi soli”.

Da un punto di vista prettamente tecnico, il prodotto prevede, all’interno di una ormai consolidata produzione homerecording di tipo spartana e autarchica, un passo avanti per la registrazione e la finalizzazione. Mimmo Parisi, un po’ per convinzione e un po’ per situazione, non si è fatto mai prendere dal trip della registrazione: si fa quel che si può e non si sta ad aspettare che arrivi il sound engineer di Madonna che ti faccia un suono della madonna! Parisi, sulla scia di Gaber e Leporini, pensa che bisogna dire, ammesso che si abbia da dire, e non che bisogna mostrare (che cosa poi?).
Ce La Possiamo Fare promette delle chitarre gustose e le mantiene. Niente indici che scivolano sull’unica corda che si riesce a beccare per fare l’assolo (quest’ultimo, vale la pena segnalarlo, pur rimandando ai vari Satriani, Vai and C., risulta misurato pur facendo affidamento sulla tecnica). Lo stile The Edge tonica/quinta/sui cantini è carino, ma dovrebbe, ormai, essere fuori catalogo. La voce di Parisi galleggia egregiamente sulle note medio alte. Questo è un retaggio ovviamente da rock singer che, proprio per questo, fa di Mimmo Parisi un cantautore outsider. La parte testuale di Ce La Possiamo Fare tocca descrizioni quasi, in alcuni passaggi, da pop art alla Warhol: la citazione di frighi americani, Snoopy, Charlie Brown e Ferrari non dovrebbe lasciar adito a dubbi. Nel testo non manca lo sguardo che indaga l’ineffabile servendosi della quotidianità: “A volte guardo la luna su/E penso in fondo che/Nessuno manda bollette per la luce che da”.
Voto: 9

Giorgia Alberti, rock ed altre cose

Springsteen in incognito

 

 

 

Sul palco del Wonder Bar, si stavano esibendo Joe Grushecky and The Houserockers, ad un tratto un tipo alla Springsteen è salito, ha imbracciato la prima Telecaster a portata di mano e ha iniziato a cantare. Non era male quel tipo alla Springsteen. Sembrava proprio Springsteen. Era Springsteen!

Springsteen, accompagnato dai musicisti anch’essi colti di sorpresa, ha presentato, nel concerto del tutto improvvisato, la splendida canzone Never Be Time Enough. A questa sono seguiti altri motivi della portata di Adam Raised a Cain, Atlantic City, Because the Night, Code of Silente. Roba da non crederci.
E’ esperienza di molti osservare e incappare in situazioni para disperate: l’ultimo biglietto per il concerto ufficiale di Bruce Springsteen è stato acquistato già giorni prima, che fare? Niente, si rinuncia. In quest’occasione, invece, è bastato andare a fare due passi al bar giusto e, insieme alla birra e alla moneta di resto, si è scorto un tizio che canta e ti par di conoscere. Magari qualcuno avrà pensato a uno bravo che fa cover. Cover fatte bene, ma cover. E invece no, eccolo lì il cantante con la sua aria da operaio che ha appena smesso il turno e urla al microfono il suo dissenso verso qualcosa o qualcuno. Perché ci sono sempre qualcosa e qualcuno che non vanno. “E’ proprio lui!”, alla fine hanno concluso i fortunati. La piccola folla di astanti, presi tra un sorso di birra e un dubbio sul Boss, in men che non si dica si è allargata in maniera importante. Tanto che si è accalcata fuori invidiando le giraffe: una sequenza di cartilagini cervicali di quella portata sarebbe risultata utile per dare una sbirciatina all’interno del ‘bar della meraviglia’. Ma, come insegnano quelli che si contentano, la dove non arriva la vista, soccorre l’udito: la voce di Bruce passa e si propaga per la strada.
Chi ha voglia di vivere l’esperienza fatta da quei favoriti dalla sorte di Asbury Park, può navigare sulla rete e cercare un frammento dello show – quello in cui canta Darkness On The Edge Of Town –  su YouTube: non sarà come essere stato nella terra di Springsteen ma, anche se in differita, il divertimento e l’entusiasmo sono assicurati.

(A cura di Giorgia Conti, rock webber)

Osvaldo Napoli e i vitalizi

Osvaldo

A 1 Mattina si parla di vitalizi. Ospite accigliato dietro il sorriso perenne e di circostanza, l’ex parlamentare di Forza Italia Osvaldo Napoli. In onda, oltre ai due canonici presentatori Rai democraticamente presentati nei due generi più diffusi sul pianeta Terra, anche una rappresentante, via web, del M5s di professione questore.

Il politico Osvaldo Napoli, finalmente, ha perorato con passione la difesa dei diritti di qualcuno: i politici a qualsiasi titolo, religione, colore (della pelle e politico), razza e orientamento affettivo. Beh, lo riconoscerà anche chi ha parteggiato per lui, il parlamentare Napoli non è fra quelli che hanno acceso e fatto vibrare con maggior luce la fiaccola del Cavaliere, ora in disarmo(?). Insomma, il suo è stato sempre un lavoro di retrovia e partecipato, magari fatto dal lato sbagliato della barricata (…ovviamente per chi carica il moschetto dall’altro fronte), tuttavia non lo si è visto mai con l’elmetto tra le mani e la testa fasciata di bianco con annesso papavero rosso – non mille papaveri rossi, come quelli presenti nella Guerra di Piero del cantautore De Andrè, non si chiede tanto – giusto per testimoniare la partecipazione cruenta a qualche pugna incredibile ed eroica.

Ora invece, seduto sullo scranno Rai e con accenni d’impeti trattenuti dalla buona educazione o, dalla massima sempre valida per chiunque, di fare buon viso a cattivo gioco, discute di un tema che probabilmente solleverà di un bel po’ il morale dei disoccupati che, non avendo alcun luogo da raggiungere, nessun cartellino da timbrare, nessun tornello – questi, dopo l’enciclica di Brunetta, sono in preoccupante estinzione – da superare, stanno lì, nella mattinata di luglio a ciondolare con un caffè tra le mani e una disperata speranza di lavoro nella testa.

Si perdonerà il disegno fin troppo preciso della questione, ma un ex parlamentare che argomenta come fanno i pargoli di fronte alle ingiustizie paventate (purtroppo il politico Napoli è accompagnato in questo da un grande numero di suoi colleghi), lascia interdetti. Di fronte all’esponente del M5s, che ha dichiarato di trattenere per sé 3300 euro e di devolvere il resto dello stipendio parlamentare a un fondo cassa che sovvenziona i progetti per avviare nuove attività – cosa ormai nota – il signor Napoli ha cominciato a chiedere chiarificazioni del tutto fuori tema.

Insomma, i vitalizi e la notizia del loro ridimensionamento o scomparsa dal reddito di alcuni ‘sfortunatissimi’ ex qualcosa, al politico Napoli non vanno bene. Può anche essere che abbia ragione. Da Dagospia, maggio 2015, si viene a conoscere la situazione economica di Napoli che, come tema non dovrebbe essere appassionante per nessuno se non per il diretto interessato. Ovvio. Tuttavia su chi discute e combatte all’ultimo nichelino, una valutazione s’impone. Diversamente, si rischia di fare dell’ironia su chi arriva dall’Africa ricco solo di un sorriso sulla faccia. Dunque, a essere brevi e a non citare tutto quel che può essere economicamente associabile al signor Napoli, Dagospia segnala che, come presidente di Ancitel (la spa tecnologica dell’associazione dei sindaci), porta a casa circa 80mila euro l’anno; una casa nella Capitale pagata; rimborsi mensili dotati di parecchi zeri; frequentazione – amata – di ristoranti à la page; il vitalizio come ex parlamentare di Forza Italia. Può bastare(?).

Massimo Albertini

Grecia: meglio gli Europe che l’Europa

Europe

 

Il titolo di questo articolo, è inutile dirlo, vuole essere un segnale piantato sulla boutade e sull’ironia. Sarebbe stato magnifico sentire, un attimo prima che il popolo di Pericle fosse costretto a ballare intorno al totem dei seggi, la voce, non di Joey Tempest che pure ci appassiona tanto, ma quella dell’Europa della Merkel. Sarebbe bastato dire: “Va bene, la vita è dura per tutti. E’ successo anche a noi: se, nel post seconda guerra mondiale, non ci avesse aiutato l’America – senza alcuna sicurezza che i loro soldi sarebbero tornati nelle casse dello zio Sam –  saremmo ancora allo sbando. Sediamoci e discutiamo senza spocchia il problema”. Ma questo non è avvenuto. Questa Europa, in modo del tutto tronfio e privo di basi veramenti amicali, alla fine del secondo millennio decise di fare concorrenza agli United States. E’ stato un fallimento. Probabilmente, se un miracolo non si abbassa a lambire le nazioni legate dal feticcio euro, la tanto sbandierata UE rischia di creare solo danni.

Invece eccoci qui a laudare non l’Europa, ma gli Europe di Norum e Tempest. Almeno loro sono fedeli alle loro sonorità, ai loro progetti – come l’ottimo War of Kings – uscito il 6 marzo scorso e grondante il tipico  sound (ma più blues) made in Europe.

A seguire uno stralcio delle immediate reazioni post elezioni greche:

“La proposta bocciata dal popolo greco era quella condivisa dagli altri 18 Paesi. Ora tocca al governo greco avanzare una proposta che convinca le altre nazioni”, ha detto il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz in un video messaggio. “La promessa di Varoufakis che le banche riapriranno domani e che ci sarà denaro disponibile mi sembra difficile e pericolosa: credo che il popolo greco vivrà in una situazione più difficile”.

Il premier italiano, Matteo Renzi, ha intenzione di fare pressioni affinche si esca dal format franco-tedesco. Renzi lo avrebbe detto chiaro e tondo a Francia e Germania: non serve un formato a due, ci vuole un coinvolgimento dei leader e delle istituzioni europee. Purtroppo Renzi, a dispetto del contenuto delle sue stesse affermazioni, è troppo preso a fare i self con Obama.

Massimo Albertini

Kiss forever

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Si chiama “40th Anniversary Tour” l’evento Kiss che si celebrerà nell’Arena di Verona giovedì 11 giugno 2015. Il tour sbarcherà in Italia proveniente dall’America, Asia, Sud America e Australia. Un tour strepitoso con musicisti che hanno inciso 44 album premiati con 28 dischi d’oro negli Usa. Hanno venduto 100 milioni di copie dei loro dischi, senza contare tutta la leggenda nata intorno alle loro figure/fumetto che ha creato anche il fenomeno dei gadget marchiati Kiss!L’arena di Verona, quindi, prima che l’estate 2015 si manifesti tecnicamente, ospiterà i quattro musicisti americani. Proprio un anno fa, più o meno, era aprile, la band americana legata all’ hard rock di marca quasi circense ha avuto un importante riconoscimento: la Rock And Roll Hall of Fame li ha onorati con quattro statue di cera. Niente male, in fondo saranno in compagnia di Elvis Presley che, se hard rock non era, sicuramente ha funzionato da incunabolo per l’evoluzione di quel tipo di rock che i Kiss rappresentano.

Rimanendo nel 2014, è da ricordare anche il loro primissimo resident show. Quest’ultimo è stato attuato a Sin City; più precisamente presso The Joint nell’Hard Rock Hotel & Casino Las Vegas. A giugno, inoltre, i quattro Kiss presenteranno sul palco dell’Arena un repertorio di brani che, per la maggior parte, attingerà alla loro antologia “Kiss 40”, pubblicata nel maggio dello scorso anno. Questo album, vale la pena segnalarlo, è costituito da tracce estratte dagli album del gruppo e dagli album individuali dei quattro musicisti: una traccia per album.
I Kiss sono nati nel 1973. Il bassista Gene Simmons, forse insieme a Paul Stanley (chitarra e canto) le vere anime della band, era così appassionato dell’avventura Beatles che volle con tutto se stesso ripercorrerne il cammino. Ovviamente, da individuo particolarmente brillante, a lui non interessava fare la parodia dei quattro Fab Four. Simmons ha spesso dichiarato che “Si può tranquillamente copiare qualcuno, ma poi devi svolgere il tuo progetto in modo originale e senza essere un pedissequo imitatore”. Infatti, per quanto l’input sia partito dai Beatles e da altre rock band, nessuno potrebbe onestamente tacciare i Kiss di essere copia di qualcuno. Tanto meno dei quattro di Michelle e altre canzoni che resteranno nella storia della musica del ‘900: tra i Kiss e i Beatles vi è una distanza siderale. Così come l’aspetto caliginoso che la band americana vanta non può in ogni caso avere riscontro nel look da college che John Lennon e compagni presentavano durante i loro concerti.

Ovviamente non è solo una questione di look: Lennon – per quanto fosse anche lui garbato nel suo vestitino e cravatta beat addizionata agli stivaletti – è stato un vero rivoluzionario. Certo, anche Gene Simmons non è tenero. Tuttavia, nel suo caso, e per quanto sia fisicamente imponente anche senza il trucco da vampiro/Godzilla, la sua visione della vita è più individuale: “Ti vuoi sballare, vuoi ubriacarti e fare lo strambo? Va bene, trovati un lavoro, guadagna e a fine settimana fa tutto questo senza disturbare gli altri. Diversamente, sei un fallito e uno che vive alle spalle degli altri!”. Questa è la cruda filosofia del bassista dei Kiss. Per quelli che pensano che il rock sia solo protesta il verbo di Gene sembra spiazzante e… poco rock. Invece, proprio per questa visione della vita, in diverse occasioni, gli altri due Kiss storici – Peter Criss e Ace Frehley – sono stati allontanati e sostituiti: “Quando sarete a posto, potete tornare, non prima”. Parola di Gene.

Diego Romero

 

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