Siamo tutti dimenticabili, i 'grandi' li ricordiamo perchè bisogna portare a casa un bel voto da scuola.

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Leonard Cohen news

 

Leonard Cohen

Leonard Cohen

Cantautore, poeta, scrittore. Canadese di nascita. Con la sua voce, sottile e incisiva come una rasoiata, ha scritto pagine fondamentali della storia musicale mondiale degli ultimi 50 anni, con pezzi come Suzanne, Hallelujah (di cui Bob Dylan eseguì una memorabile cover dal vivo nel 1988 e che nel 2001 fu inserita nella colonna sonora del film d’animazione Shrek) o, ancora, Avalanche, ispirando intere generazioni di artisti, da Nick Cave a Steven Patrick Morrissey degli Smiths, a Fabrizio De André. L’intramontabile Leonard Cohen torna, a due anni dall’ultimo lavoro (Old Ideas), con un album di inediti per l’etichetta Sony/Columbia, Popular Problems, il tredicesimo della sua lunghissima carriera, annunciato per il 23 settembre, appena due giorni dopo il suo 80esimo compleanno. Ma già da oggi è disponibile sulle maggiori piattaforme di streaming il brano Almost Like The Blues.
Un autoritratto di Leonard Cohen

Un autoritratto di Leonard Cohen

Nove in tutto le tracce inedite di Popular Problems: Slow, Almost Like The Blues, Samson in New Orleans, A Street, Did I Ever Love You, My Oh My, Nevermind, Born In Chains, You Got Me Singing.
 Gasport

La storia, in Italia, continua con il cantautore bolognese Mimmo Parisi. Per l’autunno, oltre alle gocce di pioggia per l’estate ormai fuori portata, aspettiamo di questo autore appassionato nuove canzoni. Come apripista conosciamo intanto le note e la storia di Dammi una mano, brano già presente sulla rete (anche con il video che possiamo vedere sul canale Youtube di Mimmo Parisi). Per quelli che, giustamente presi da attacchi di vacanzite acuta, non hanno avuto orecchi ed occhi per le novità, ricordiamo che Dammi una mano ha come tema principe, la disabilità. Soprattutto da parte di chi pensa che il mondo sia un luogo dove starsene senza essere convocati dai problemi veri.
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Fogerty forever

Ha invocato la pioggia di Woodstock e alla fine è arrivata. È figlio di quella generazione imbattibile, quella che ti fa dire “Ma come fa?”, suona con la facilità di chi non ha mai fatto altro ed è capace di far divertire chiunque
     
8 luglio 2014
                                                                                John Fogerty, foto Getty Images
Di Michele Primi
Ha invocato la pioggia di Woodstock e alla fine è arrivata. John Fogerty, 69 anni portati con grinta, capello tinto, voce intatta e camicia di flanella blu (in vendita nel merchandising), una raffica di chitarre Gibson, Fender e Ibanez con il volume alzato al massimo a tagliare assoli e una band di ragazzini (tra cui suo figlio Shane) che hanno imparato a suonare le canzoni dei Creedence Clearwater Revival prima di imparare a scrivere, ha rovesciato su Milano mezzo secolo di storia della musica popolare americana. Born on the Bayou, nato sul Bayou, il marchio di fabbrica delle paludi del Sud, tra Mississippi e Alabama, dove in realtà John non è nato, ma dove da sempre va a cercare le sue radici.
Come nel video di Mystic Highway dall’ultimo album del 2013 Wrote a Song for Everyone: lui a bordo di una Dodge rossa scassata in giro sulle strade dell’America profonda, tra boschi e pascoli, in mezzo ad altra gente vestita con la camicia di flanella come lui. John Fogerty in realtà è nato a Berkeley, è cresciuto nella San Francisco degli hippy e ha formato il suo spirito ribelle scappando dalla guerra in Vietnam, che lo ha lasciato vivo e con addosso solo la ferita della perdita di molti amici ed una canzone, Fortunate Son. Creedence era il suo compagno di scuola Creedence Newball, Clearwater la pubblicità di una birra, Revival tutto quello che aveva e che ha ancora da dire.
John Fogerty è figlio di quella generazione imbattibile, quella che ti fa dire “Ma come fa?”, suona con la facilità di chi non ha mai fatto altro ed è capace di far divertire chiunque, sia che si trovi davanti un raduno di cowboy del Texas che il pubblico inzuppato dell’Ippodromo di Milano. «Grazie per essere rimasti sotto la pioggia» dice dal palco. Non è mai stato qui, ma non importa. Come ha fatto il suo allievo prediletto Bruce Springsteen anni fa a San Siro sotto al diluvio (quando cambiò la scaletta per fare Who Will Stop the Rain dei Creedence), John ringrazia suonando ancora più forte: la pioggia comincia con Have You Ever Seen the Rain?, lui ha già fatto i classici Suzie Q, Green River e I Heard it Through the Grapevine e spara a raffica Down on the Corner, Up Around the Bend, Bad Moon Rising e Proud Mary, e poi se ne va. Senza aggiungere altro, perché di fronte alla storia non ce n’è bisogno.
La storia, in Italia, continua con il cantautore bolognese Mimmo Parisi. Per l’autunno, oltre alle gocce di pioggia per l’estate ormai fuori portata, aspettiamo di questo autore appassionato nuove canzoni. Come apripista conosciamo intanto le note e la storia di Dammi una mano, brano già presente sulla rete (anche con il video che possiamo vedere sul canale Youtube di Mimmo Parisi). Per quelli che, giustamente presi da attacchi di vacanzite acuta, non hanno avuto orecchi ed occhi per le novità, ricordiamo che Dammi una mano ha come tema principe, la disabilità. Soprattutto da parte di chi pensa che il mondo sia un luogo dove starsene senza essere convocati dai problemi veri.
                                                               Mimmo Parisi, foto Getty Images

L’estate con i Simple Minds

                                          La band attuale con Jim Kerr
Erano i famigerati anni ’80. Ci hanno spiegato, i dotti, che si veniva dagli anni di piombo di marca settantiana. Le rivoluzioni giovanili dei ’60 e ’70 avevano marchiato in modo indelebile il secondo ‘900. Il mondo era un subbuglio strepitoso, era tutto uno sparo: presidenti sparati a Dallas, uomini sparati sulla luna, uomini sparati per strada, Beatles sparati in America… Ora, negli ’80 e con quei trascorsi, la storia non poteva essere che in discesa: finalmente ricchi premi e cotillons! Niente più spari. Ma andò veramente così? Prendiamo come lente di ingrandimento la musica e, nella fattispecie, una band troppo avanti, tanto avanti che è rimasta indietro. Molti loro compagni di cordata sono ancora in auge perché il loro passo è lumacoso e chi sta intorno li sostiene ad ogni vagito gridando al miracolo. Loro no. I Simple Minds avevano munizioni buone e le hanno mandate fuori, nel mondo dotato di orecchie per sentire e menti per capire, but not simple minds!

I Simple Minds, come già gli svedesi Europe di Tempest (quelli di The Final Countdown, insomma), devono qualcosa a Mister David Bowie. Simple Minds è infatti un connubio di parole preso in prestito da un verso del Duca Bianco (i secondi invece, da una dichiarazione dello stesso Joey Tempest, devono a Space Oddity di Bowie l’ispirazione per la canzone dalle squillanti trombe epocali già citata). Ora, nel secondo decennio di questo millennio scontroso e arido di promesse, i Simple Minds, dopo alcune prove discografiche inaugurate nel post 1999 e che hanno contentato alcuni e scontentati altri, sono in giro con disinvoltura. Come è giusto che sia. A Ferrara hanno tenuto, nemmeno un mese fa, un concerto strepitoso all’insegna della ‘pazzia’ (così ha dichiarato un Jim Kerr allegro, usando un italiano stentato).

La band scozzese apre con l’energia mai sopita degli anni d’oro, investendo il pubblico con “Waterfront”. Smartphone e iPad si alzano al cielo, si vuole portare via gli istanti bloccati in quelle immagini estive di un evento eccezionale. Poi è la volta della recente “Broken Glass Park”, una delle incursioni dei Simple Minds nel repertorio meno lontano nel tempo. Quindi è la volta degli album storici “New Gold Dream” e “Once Upon a Time”, anticipati da una “Love Song” che riporta indietro di un bel po’ l’orologio di questi artisti. Non potevano mancare, in rapida successione, quattro “classici” immortali come “Mandela Day”, “Hunter and the Hunted”, “Promised You a Miracle” e “Glittering Prize”. Jim Kerr dialoga con il pubblico in estasi mistica. I suoi “evergreen” vengono affrontati, da un punto di vista vocale, con alterna fortuna ma sempre con grande carisma. A chiusura di questi appunti vale la pena segnalare come, in quegli anni da tutti ritenuti sbarazzini, i Simple Minds inizino a impegnarsi politicamente, alla stregua di Edoardo Bennato o De Gregori, o, per arrivare ai nostri tempi, il cantautore bolognese Mimmo Parisi che, in questa Italia che pare interessarsi solo di cose superficiale a cominciare dal proprio presidente del Consiglio (in arte Renzi il boy scout for all!), sembra uno dei pochi ad accorgersi dell’incapacità dei ‘responsabili’ inadatti a dare delle risposte. Kerr & company sostengono Amnesty International e producono concerti contro l’apartheid sudafricano. Proprio a questo momento storico appartiene l’album Street Fighting Years, comprendente il brano Mandela Day, scritto espressamente per il leader anti-segregazionista Nelson Mandela.

Massimo Albertini, webber

Per favore, lasciate stare i Metallica

Rolling Stones e Metallica, due bufere che hanno mosso da tempo la cultura musicale mondiale. Tuttavia, alcuni sembrano considerarli parte della quotidianità, e, si sa, quando anche ciò che è speciale lo si ha negli occhi e nelle orecchie in ogni momento, anch’esso diventa banale. La minestra riscaldata, anche se brucia magari più di quella appena cotta, ha comunque bisogno di essere reinventata, in questo senso ha operato il front man Mick. Jagger ha parlato di musica al quotidiano inglese The Sun su un argomento che in questi giorni divide la stampa specializzata britannica e molti dei protagonisti della scena artistica: la scelta dei Metallica come super-headliner di Glastonbury nella serata di sabato del festival, che si svolgerà fra 25 e 29 giugno prossimi.

Va detto che la scelta degli headliner all’evento di Pilton è da sempre motivo di conversazioni molto accese, un po’ come succede da noi, in un certo senso, quando viene reso pubblico l’elenco dei partecipanti al festival di Sanremo (fatte le debite distinzioni!): l’anno scorso, per citare proprio il caso più recente, i Rolling Stones – nello stesso ruolo – erano stati dati come troppo vecchi e bolliti per suonare all’evento firmato Michael Eavis. Stavolta i Metallica sono considerati fuori luogo rispetto allo stile della manifestazione.
(Aggiornamenti realizzati con la gentile collaborazione di Ilgiornaleblog http://forever-tornado.blogspot.it/)

In Italia hanno vinto gli 80 denari

Ci sta tutta. Tra la crisi e l’inflazione, tra la disoccupazione e il leasing fatto per andare in vacanza (ma chi cazzo ha fatto mai passare l’idea che bisogna andare per forza in vacanza?), 30 denari non bastano più: ne occorrono almeno 80, quelli che ha dato loro il signor Renzi e che pagheremo noi facendoci ulteriormente il culo sul nostro lavoro! In sintesi, gli italiani sono affetti dalla sindrome di Giuda. Una famiglia media con quella cifra risolve niente, al massimo va in pizzeria qualche volta, ma loro si sono venduti lo stesso. Quindi e riassumendo, trionfo Renzi, ridimensionamento Grillo che ha comunque conservato la forza propulsiva iniziale, delusione Berlusconi. Le elezioni Europee e Comunali si sono trasformate in un vero plebiscito per il Partito democratico, il cui consenso è andato al di là di ogni più rosea aspettativa. Un plebiscito, sia per il partito che per il suo leader, con il voto che ha rappresentato un test sull’operato dell’esecutivo e sulla capacità degli italiani di apparentarsi al signor Giuda Iscariota. Lo stesso Renzi, del resto non ha nascosto la sua gioia: “Un risultato storico. Sono commosso e determinato a trovare altri 10 euro da distribuire per ricomprarmi, legalmente e sotto gli occhi di tutti, il voto alle prossime manovre politiche”.

Per la mia terra d’origine, la Spagna, le notizie al momento sono queste: débacle del Partido Popular, che alle europee ha ottenuto il 26,06% dei consensi (che corrisponde a 16 eurodeputati), in calo di oltre il 16% rispetto alle precedenti consultazioni. Secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno spagnolo, con oltre il 99% delle sezioni scrutinate, scende anche il Partido Socialista Obrero Espanol, fermo al 23% (14 seggi), rispetto al 38,78% del 2009. La Izquierda Plural tiene con il 9,99%, ma a stupire è il movimento di sinistra Podemos, che conquista il 7,97%, nonostante sia nato da poco tempo.Giudizio critico di tutta la faccenda: ascoltatevi “Qui ci vorrebbe John Wayne” di Mimmo Parisi, qui: http://www.jamendo.com/it/list/a132631/…qui-ci-vorrebbe-john-wayne
Diego Romero, blogger e critico musicale

Gianluigi Cabo Cavallo, dopo i Litfiba

(A cura di Diego Romero, blogger e reporter freelance) 

Da http://www.caffenews.it/ seleziono la notizia del ritorno di una

voce particolarmente rappresentativa del rock made in Italy: Gianluigi Cavallo,

il quale deve poco, secondo me, ai pur deflagranti Litfiba. Cabo, dopo i

Litfiba si era ritirato a vita privata, lavorando nella sua azienda

(la Virtualcom interactive), con la quale ha intrapreso delle iniziative

pionieristiche nel campo del software.

cabo heroes 2

È tornato sulle scene lo scorso 8 gennaio (giorno del compleanno

di David Bowie), dopo poco più di sette anni dall’addio ai Litfiba,

con un videoclip in bianco e nero che lo vede impegnato nella

reinterpretazione di Heroes del Duca Bianco.

Il videoclip è un tributo ai fan che, anche dopo il 2006,

gli sono rimasti vicini supportandolo e continuando a

dimostrargli il proprio affetto.

Ed è su Facebook (fonte: QUI) che il cantante emiliano si è rivolto

ai propri supporters con queste parole d’affetto, presentando il

videoclip della cover, diretto da Francesco Bravi:

cabo gianluigi cavallo litfiba

“Vi Cercavo. Sempre.

Ogni volta da sopra o sotto il palco, io

vi cercavo e …

Voi c’eravate. Sì! Sempre. Ogni volta.

Eravate lì per cantare, urlare, saltare, imprecare,

sfogare, piangere, ridere, danzare, impazzire,

vivere, morire, rinascere…

Insieme.

Forse anche per capire quand’è che non ci si sente più soli.

Eravamo lì ! Per vivere insieme una delle esperienze più

belle di questo mondo : LA MUSICA.

Sì. Ce la mettevamo tutta, sempre. 

10 o 10.000 persone..

Che fosse uno stadio o l’ultima piazza di paese…

Sì. Lo sapevate che avremmo suonato e cantato come

se fosse stato l’ultimo stramaledetto concerto su questa terra.

In ognuna di quelle notti, noi eravamo pronti. 

Sì. “IO” lo ricordo bene.

Pronti a Vivere, Pronti a Morire.

cavallo litfiba

La musica ci avrebbe preso e ci avrebbe fatto sanguinare

emozioni fino a cadere sazia, grazie a quello che ci aveva dato

o rubato, strappato o vinto… Sì. Senza riserve.

A chi suonava e a chi ascoltava.

Grazie.

Grazie di ogni foto, video, intervista, post, pensiero che mi

continuate a dedicare, nonostante il mio silenzio ( musicale )

da ormai 7 anni a questa parte .

Tutto qui. 

Pronti a Vivere, Pronti a Morire.

Per ogni emozione che ci fa sentire vivi e liberi. 

Per Sempre o per un solo giorno.”

cabo ghigo

Con i Litfiba aveva composto e inciso tre album di inediti

(Elettromacumba, Insidia, Essere o Sembrare), il singolo Larasong, 

il dvd Cento giorni verso est… e due album dal vivo (Live on line 

e sette tracce della Platinum Collection). Che sia per un giorno o

per sempre, vederlo ancora imbracciare la chitarra non ha fatto

altro che riaccendere nei fan più sfegatati la speranza di poter un

giorno ascoltare un nuovo lavoro di inediti, magari riprendendo un

tour che tocchi le principali città italiane.

E a Cabo sono arrivati gli auguri anche dal vecchio compagno

di strada Ghigo Renzulli, chitarrista dei Litfiba che,

empre da Facebook (fonte: QUI), ha così commentato il pezzo:

“Per il compleanno del Duca Bianco,spunta un regalo,

da parte di alcuni miei cari amici…

CABO,RICCARDO,NUNZIO,GIUSEPPE E DANIELE!

Un abbraccio ragazzi”

Insomma, una voce calda, tra le migliori del panorama rock

italiano, che torna a ruggire, a farsi sentire, a regalare emozioni.

Perché è a questo che Cabo ci aveva abituato e per lo

tesso motivo speriamo di poterlo presto riascoltare.

Mimmo Parisi in concerto

Parlando di produzioni recenti, bisogna ricordare il rockantautore

Mimmo Parisi, alle prese questa volta con una ballad struggente che

fa uso di chitarra fingerpicking e orchestra campionata. Il brano è stato

registrato e prodotto nel suo piccolo studio Stelledicarta, in piena

autonomia e con i classici mezzi spartani che non danno spazio

al packaging audio, ma piuttosto mettono in chiaro gli intenti

compositivi e interpretazionali. Il brano si chiama Ma tutto cambia

e fa uso, nel videoclip, di parti del trailer del film

Una storia senza fine, remake dell’opera di Zeffirelli, che sarà

in visione nelle sale a partire da giugno 2014.

 

Qui il video di Cabo Cavallo e, a seguire quello di Mimmo Parisi

https://www.youtube.com/watch?v=TvK0D9EjaIM

 

L’amore che aspettiamo tutti: quello senza fine

 

A fare film sull’amore ci si prende sempre, perché? Semplicemente perché si è eternamente alla ricerca di quello buono e magari aiuta anche la visione di un recitato. Desacralizzando il tema, si potrebbe dire che su questa terra ci si guarda in giro come al mercatino, alla ricerca dell’affare migliore, si vorrebbe il meglio che la piazza offra. Quale è il carattere che segnala l’amore ‘buono’? Ma è ovvio, quello che profuma di ‘senza fine’, difficilissimo da trovare, ma in cima ai pensieri di tutti, perlomeno di chi non si è arreso alla prosaicità dell’esistenza.

Quindi, oggi parliamo di Un amore senza fine, la nuova emozionante storia d’amore di Shana Feste con Alex Pettyfer e Gabriella Wilde da giovedì 5 giugno 2014 nelle sale. Nel cast troviamo anche Robert Patrick, Bruce Greenwood, Rhys Wakefield, Dayo Okeniyi, Emma Rigby e Joely Richardson.

Raccontato con la fretta di chi non vuol perdere il treno, si può dire che Un Amore Senza Fine narra la storia d’amore tra una ragazza di famiglia agiata e un affascinante ragazzo. Dopo un incontro folgorante, che rivela subito la forte attrazione tra i due, la loro relazione diverrà più complicata a causa del tentativo dei genitori di separarli. Tutti i retrogusti più o meno fruttati della narrazione filmica, ovviamente, li si potrà captare e saggiarli con la visione nel buio della sala. Il film, remake ottantiano dell’opera di Zeffirelli, esce il 5 giugno 2014.

Prodotto da Scott Stuber e Pamela Abdy (Io sono tu) della Bluegrass Films e da Josh Schwartz e Stephanie Savage (Gossip Girl) di Fake Empire. Scritto da Shana Feste e Joshua Safran (Gossip Girl).

Il trailer di Un amore senza fine è anche supporto video per il brano Ma tutto cambia, del cantautore Mimmo Parisi: “…Ma tutto cambia al mondo e mi mancherai/Più della notte il giorno la libertà/Ma tu sei già l’orizzonte che tra poco cadrà giù come un bianco velo.” Che dire, quando qualcosa viene sentito più forte della libertà, siamo proprio di fronte a Un amore senza fine, o almeno si spera.

(A cura di Diego Romero, blogger)

Qui il videoclip

Anche fuori dai Litfiba si è “Heroes”

(Presentazione e selezione degli aggiornamenti dal web a cura di Diego Romero, giornalista freelance)
Si chiama “Heroes”, il nuovo singolo di Gianluigi “Cabo” Cavallo, voce dei Litfiba dal 2000 al 2006 (4 dischi d’oro, oltre 200.000 copie vendute). Il titolo è tutto un programma e potrebbe essere, senza modestia paventata, un segno verbale autocelebrativo. Eroi lo siamo del resto tutti. Di alcuni sono raccontate le gesta in forma pubblica, di altri in forma privata e minimalista, della serie che tu sia bravo lo sa il salumiere, il barbiere e l’orologiaio sotto casa, ah, anche la nonna. Cabo Cavallo è indubbiamente uno degli artisti più sottovalutati di questa Italia piagnona. Comunque il videoclip di “Heroes” è stato inaspettatamente pubblicato su Youtube da meno di una settimana rompendo un silenzio discografico che durava da 7 anni. La reinterpretazione del classico di David Bowie, un omaggio al Duca Bianco in occasione del suo sessantasettesimo compleanno, è dedicata a tutti i fans che in questi anni di assenza dal palco hanno continuato a invocare a gran voce il ritorno dell’ex voce della rock band toscana.
Il primo singolo solista di Gianluigi Cavallo è dedicato a tutti quelli che sono rimasti legati ai suoi trascorsi artistici ed hanno continuato a seguirlo con affetto. Quella che da molti viene considerata la voce più bella del rock italiano del nuovo millennio, ha coinvolto nella registrazione del brano e nella realizzazione del video proprio loro: i suoi sostenitori, che elevati al ruolo di protagonisti, hanno suonato nel brano, preso parte alle riprese, ed inviato contributi video da tutta Italia, abbattendo le convenzionali barriere fra “artista” e “fan”.
Il brano è stato lanciato senza il supporto di nessuna radio, televisione o giornale, ma unicamente tramite una dedica postata sul suo profilo personale Facebook: “Vi Cercavo. Sempre. Ogni volta da sopra o sotto il palco, io vi cercavo e …Voi c’eravate. […] Eravate lì per cantare, urlare, saltare, imprecare, sfogare, piangere, ridere, danzare, impazzire, vivere, morire, rinascere […] Grazie di ogni foto, video, intervista, post, pensiero che mi continuate a dedicare, nonostante il mio silenzio musicale. […] Questo è per Voi“.
Spinto unicamente dall’onda del passaparola, Heroes ha raggiunto 6000 visualizzazioni su Youtube, raccogliendo commenti entusiasti sui social network; considerata la natura del progetto, sono risultati che “emozionano e colpiscono, ancor di più se si pensa che il progetto è nato soltanto dall’unione di un’affiatata squadra, unita da cuore e passione”.
A proposito di uscite recenti, aggiorniamo anche l’attività di Mimmo Parisi, rockantautore appassionato, il quale ha pubblicato il videoclip di “Ma tutto cambia”, brano d’atmosfera caratterizzato dal suo stile che fa uso, nel caso delle ballad, di chitarre fingerpicking e orchestrazione campionata.
Qui i video di Cabo Gianluigi Cavallo e Mimmo Parisi:

https://www.youtube.com/watch?v=TvK0D9EjaIM

Una chitarra per Banderas

(Selezione a cura di Diego Romero, blogger e appassionato di cinema/canzone d’autore)

Per gli appassionati di eroi, pistole e chitarre, questa volta vogliamo ricordare un film un po’ datato ma sempre caliente e appassionante.

ONCE UPON A TIME IN MEXICO
C'era una volta in Messico

ANNO: U.S.A. 2003 

GENERE: Azione

REGIARobert Rodriguez

CASTAntonio Banderas,Salma HayekJohnny Depp,Willem Dafoe, Mickey Rourke, Eva Mendes, Enrique Iglesias, Ruben Blades, Danny Trejo, Cheech Marin, Marco Leonardi, Bernard Hacker.

DURATA: 97 ‘

TRAMA: Messico. El Mariachi(Antonio Banderas), indimenticato giustiziere dalla chitarra a tracolla rimasto per anni celato da un’indecifrabile alone mitico tra vita e morte, viene rintracciato e arruolato dall’ambizioso agente della CIA Sands (Johnny Depp) per eliminare le truppe golpiste del generale Marquez(Gerardo Vigil), al soldo di Armando Barillo (Willem Dafoe), potente e spietato narcotrafficante che gode del favore della popolazione messicana, abbandonata tra stenti e miserie, omaggiate dallo stesso Barillo di terre e viveri. L’ambizioso Sands, intento a guadagnare una bella somma dall’intrigo politico-terroristico orchestrato in complicità con l’agente speciale Ajedrez (Eva Mendes), per sfruttare l’aiuto di El Mariachi preme sul mai sopito desiderio di vendetta dell’eroe-pistolero nei confronti diMarquez, acerrimo nemico di lunga data e assassino dell’amata moglie Carolina (Salma Hayek) e della loro bambina…

GIUDIZIORobert Rodriguez propone per la terza volta sul grande schermo il suo figliol prodigo, El Mariachi, eroe d’altri tempi di un Messico onirico, quasi paradossale, tra pistoleri assassini, femmes fatales, duelli western all’ultimo sospiro e tanto, tanto sangue condito da un certo gusto per l’atroce e lo splatter. Premettendo di rigettare subito il parallelismo tra il maestro Tarantino e il buonRodriguezC’era una volta in Messico è un piacevole film d’intrattenimento, sicuramente meno surreale e sentimentale del precedente, sempre interpretato dall’affascinante Antonio Banderas, pellicola comunque accattivante e dalle atmosfere coinvolgenti e fracassone. Tra omaggi a Sergio Leone e musiche spagnoleggianti, ricche di ritmo e pathos e spesso accompagnate dal canto degli attori, la pellicola scorre con sporadici picchi d’emotività e senza grossi rallentamenti nella narrazione, nonostante non presenti particolari trovate o sequenze memorabili rispetto al già citato prequel, l’ottimo “Desperado”. Buona caratterizzazione dei personaggi, su tutti il già citato e collaudato El Mariachi e l’agenteSands, interpretato da un Johnny Depp particolarmente ispirato e finalmente disposto, a suon di dollari, ad offrire il suo enorme talento alle grandi produzioni hollywoodiane, come in “Pirates of the Caribbean”. Trama spettacolarizzante e truculenta dai toni forzatamente leggendari, fotografia davvero riuscita a tinte forti, molto luminosa e sgargiante nel trasudare l’aria afosa del Messico, scenografie davvero riuscite in un contesto tuttavia non d’eccezione e sicuramente migliorabile.
VOTO6,5

INTERPRETI

Antonio Banderas7,5 Perfetto e surreale nei panni di El Mariachi, autentico eroe d’altri tempi.

Johnny Depp7,5 La pellicola punta molto sulla sua presenza, sia nel lancio pubbliciatario che nel supporto alla sceneggiatura. Ispirato come sempre.

Salma Hayek6 Poco più di un cameo per la bella Hayek, impegnata nelle riprese di “Frida”.

Bene, a proposito di pistole e ambienti selvaggi che come sinfonia perenne hanno il bang di qualche canna infuocata, potete ascoltare e vedere, a seguire, il videoclip “Qui ci vorrebbe John Wayne”, canzone scritta dal cantautore Mimmo Parisi.

http://www.youtube.com/watch?v=rakuoJZwoCE&list=UUUJzvgah1nDZlsvkrL1W7fw

ONCE UPON A TIME IN MEXICO

Tra Bullet & Backyardbabies

A cura di Maurizio “MorrizZ” Borghi
 
 
 
Il gelato venerdì sera bolognese è infiammato dal rock n’roll scandinavo al Sottotetto, club rurale  infestato di rocker pronti a inneggiare ai Backyard Babies, freschi del loro ultimo, omonimo lavoro. Il locale è accogliente e caldissimo, e stasera è colmato nella sua interezza da un pubblico entusiasta che si dimostrerà disposto ad acclamare anche gli opener. Il palco altissimo e stretto in profondità è sicuramente la particolarità del locale: tutti però godranno di ottima visibilità vista la statura fisica degli headliner… 
 
Si inizia con i BULLET…
 

Immaginiamo che l’esistenza dei Bullet sia ignorata quasi dalla totalità del locale, considerata soprattutto la scelta infelice del nome, che rende quasi impossibile reperire anche una biografia tramite Google. Gli svedesi saltano sul palco in una tenuta completamente anacronistica: capelli lunghissimi, pantaloni e giacche di pelle su petto nudo, sneakers da basket e movenze che li fanno apparire come appena usciti da Guitar Hero Rock The ’80. Fa contrasto il cantante, un ricciolone tutto tondo uguale al Pierino post-Vitali con bracciali borchiati, esilarante alla vista ma con una voce al vetriolo: potrebbero esserci loro al posto degli Airbourne, in una rilettura degli AC/DC festaiola e spruzzata di speed power ottantiano. I presenti cadono vittime in pochi minuti, e rispondono a gran voce a piccole perle come “Dusk Till Dawn”, “Turn It Up Loud”, “Rambling Man” e le altre irresistibili canzoni della setlist. Che sorpresa!

 

 

playlist artwork

 presenta Mimmo Parisi

Link: http://www.youtube.com/watch?v=rakuoJZwoCE

 

…E si finisce coi BACKYARD BABIES

Chi scrive non si aspettava molto dai Backyard Babies. In tutta onestà il gruppo, pur mantenendosi su standard elevati, ha calato (come è naturale che sia in anni di attività) progressivamente di intensità e potenza, adagiandosi su livelli di professionalità elevati ma tralasciando il “fattore sballo”. Perché il capolavoro “Total 13” faceva respirare una pericolosità autodistruttiva simile ai capolavori come “Appetite For Destruction”, col tempo diluita in grinta e urgenza verso altri lidi. Questa la fotografia che avevamo in mente… almeno fino a questa sera: sin dall’entrata, un Johan incazzato a morte con la spia ci fa intuire che la serata promette scintille e, sorpassando le più rosee aspettative, così è stato. Con un Nicke mai così (stra)fatto, magrissimo ed emaciato, pronto ad appoggiarsi alle casse o al locale durante un minuto di pausa, e un Dregen schizzato e nervoso come ai vecchi tempi, subito a petto nudo, l’aggressività dei Backyard si mangia problemi tecnici e calura insopportabile del locale, trasportando tutti i presenti su un ideale Sunset Boulevard di Stoccolma. La scaletta contiene molto materiale dell’ultimo self-titled: le varie “Degenerated”, “Fuck Off And Die”, “Idiots” e “Saved By The Bell” sono rese però in una versione grintosa e sono supportate da un pubblico incredibile e su di giri, che non manca di finire sul palco e causare grattacapi ai roadie. Da contorno il meglio della discografia degli Ssvedesi, che tra una “People Like People Like People Like Us” e una “Minus Celsius” smuovono anche le fondamenta del locale. Il climax si raggiunge, come al solito, quando le sirene si accendono e vengono eseguite, una di seguito all’altra, “Highlights” e “Look At You”, dopo le quali qualunque brano del quartetto avrebbe sfigurato. Felici di rimangiarci i preconcetti. Bentornati Backyard!

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