Siamo tutti dimenticabili, i 'grandi' li ricordiamo perchè bisogna portare a casa un bel voto da scuola.

Mese: Aprile 2014

Tra Bullet & Backyardbabies

A cura di Maurizio “MorrizZ” Borghi
 
 
 
Il gelato venerdì sera bolognese è infiammato dal rock n’roll scandinavo al Sottotetto, club rurale  infestato di rocker pronti a inneggiare ai Backyard Babies, freschi del loro ultimo, omonimo lavoro. Il locale è accogliente e caldissimo, e stasera è colmato nella sua interezza da un pubblico entusiasta che si dimostrerà disposto ad acclamare anche gli opener. Il palco altissimo e stretto in profondità è sicuramente la particolarità del locale: tutti però godranno di ottima visibilità vista la statura fisica degli headliner… 
 
Si inizia con i BULLET…
 

Immaginiamo che l’esistenza dei Bullet sia ignorata quasi dalla totalità del locale, considerata soprattutto la scelta infelice del nome, che rende quasi impossibile reperire anche una biografia tramite Google. Gli svedesi saltano sul palco in una tenuta completamente anacronistica: capelli lunghissimi, pantaloni e giacche di pelle su petto nudo, sneakers da basket e movenze che li fanno apparire come appena usciti da Guitar Hero Rock The ’80. Fa contrasto il cantante, un ricciolone tutto tondo uguale al Pierino post-Vitali con bracciali borchiati, esilarante alla vista ma con una voce al vetriolo: potrebbero esserci loro al posto degli Airbourne, in una rilettura degli AC/DC festaiola e spruzzata di speed power ottantiano. I presenti cadono vittime in pochi minuti, e rispondono a gran voce a piccole perle come “Dusk Till Dawn”, “Turn It Up Loud”, “Rambling Man” e le altre irresistibili canzoni della setlist. Che sorpresa!

 

 

playlist artwork

 presenta Mimmo Parisi

Link: http://www.youtube.com/watch?v=rakuoJZwoCE

 

…E si finisce coi BACKYARD BABIES

Chi scrive non si aspettava molto dai Backyard Babies. In tutta onestà il gruppo, pur mantenendosi su standard elevati, ha calato (come è naturale che sia in anni di attività) progressivamente di intensità e potenza, adagiandosi su livelli di professionalità elevati ma tralasciando il “fattore sballo”. Perché il capolavoro “Total 13” faceva respirare una pericolosità autodistruttiva simile ai capolavori come “Appetite For Destruction”, col tempo diluita in grinta e urgenza verso altri lidi. Questa la fotografia che avevamo in mente… almeno fino a questa sera: sin dall’entrata, un Johan incazzato a morte con la spia ci fa intuire che la serata promette scintille e, sorpassando le più rosee aspettative, così è stato. Con un Nicke mai così (stra)fatto, magrissimo ed emaciato, pronto ad appoggiarsi alle casse o al locale durante un minuto di pausa, e un Dregen schizzato e nervoso come ai vecchi tempi, subito a petto nudo, l’aggressività dei Backyard si mangia problemi tecnici e calura insopportabile del locale, trasportando tutti i presenti su un ideale Sunset Boulevard di Stoccolma. La scaletta contiene molto materiale dell’ultimo self-titled: le varie “Degenerated”, “Fuck Off And Die”, “Idiots” e “Saved By The Bell” sono rese però in una versione grintosa e sono supportate da un pubblico incredibile e su di giri, che non manca di finire sul palco e causare grattacapi ai roadie. Da contorno il meglio della discografia degli Ssvedesi, che tra una “People Like People Like People Like Us” e una “Minus Celsius” smuovono anche le fondamenta del locale. Il climax si raggiunge, come al solito, quando le sirene si accendono e vengono eseguite, una di seguito all’altra, “Highlights” e “Look At You”, dopo le quali qualunque brano del quartetto avrebbe sfigurato. Felici di rimangiarci i preconcetti. Bentornati Backyard!

Nick Cave, notizie

 

Oggi si parla di Nick Cave. Punto di riferimento per l’articolo è il puntuale sito italiano del nostro personaggio, Nick Cave.it. Buona lettura.

Mimmo Parisi, cantautore

Nicholas Edward Cave nasce a Warracknabeal, in Australia, il 22 Settembre 1957.

Sua madre era una bibliotecaria di nome Dawn, suo padre un insegnante d’inglese e letteratura di nome Colin, egli sarà una figura determinante nella sua vita.

Nick ha avuto i primi approcci con il canto nei cori della scuola di Wangaratta, città dove i Cave si trasferirono, e nel coro della “Caulfield Boys Grammar” a Melbourne ed è proprio lì che avviene il suo primo incontro con Mick Harvey.

Dopo soli due anni di frequentazione della “Art School”, Nick lascia gli studi e mette su, proprio insieme al suo amico Mick, polistrumentista che lo accompagnerà sino ad oggi, una band: i The Boys Next Door. Siamo nel 1973 ed in breve tempo i The Boys Next Door diventano noti in Australia, dove tengono centinaia di concerti.

Membri della band, oltre Nick e Mick Harvey, sono Tracy Pew e Phil Calvert, e nel 1978 si unirà a loro Rowland S. Howard. Il loro stile è evidentemente orientato al punk, influenzato dalle sonorità che arrivano da oltreoceano.

La band, prima di sciogliersi, riesce anche nell’impresa di pubblicare un disco: Door, Door preceduto dal singolo These Boots Are Made For Walking.

The Boys Next Door, Biografia

Boys Next Door
Come detto, però, per la band erano pronti dei forti cambiamenti.

La formazione cambiò il proprio nome in The Birthday Party, si spostarono, nel 1980, da Melbourne a Londra e la loro musica si evolvette dall’acerbo punk iniziale verso sonorità più mature che strizzano l’occhio al blues, alla crudezza di un punk più ragionato e a suoni claustrofobici.

Sul palco l’impatto è notevole, Nick si lascia spesso trascinare dalla potenza e dall’energia della loro musica mettendo in scena delle vere e proprie opere teatrali, caratterizzate da urla, provocazioni, stage-diving, tutte cose che permetteranno alla band di esser notata in tutto il Regno Unito.

Dopo aver pubblicato molti album ed aver riscosso molti successi, la band si sfalda. Nick e Rowland S. Howard non riescono più a lavorare assieme e il gruppo, corroso dalle droghe, si scioglie nel 1983.

Birthday Party, Biografia

Birthday Party

 

Carboni, tour teatrale

 

Luca Carboni "Fisico & politico tour"
 Luca Carboni festeggia i trent’anni di carriera con il tour teatrale di “Fisico & politico”, l’album uscito lo scorso ottobre con una tracklist che mette insieme alcuni indimenticabili successi del cantautore risuonati e riproposti in duetti inediti e nuovi brani. Parlando di questo anniversario con Michele Canova – produttore dell’album – Luca Carboni ha avuto l’idea di coinvolgere artisti e amici vicini al suo mondo e ripercorrere con loro alcune tappe della sua storia musicale in una dimensione nuova. La scelta dei brani è stata affidata agli ospiti e così Tiziano Ferro ha scelto Persone Silenziose, Biagio Antonacci Primavera (entrambe contenute nell’album “Persone Silenziose” del 1989). Miguel Bosè nel 1995 aveva curato le traduzioni in spagnolo dell’album “Mondo” e ha scelto infatti Inno Nazionale. Samuele Bersani ha scelto Gli autobus di notte, dall’album “Luca Carboni” del 1987; sempre dallo stesso album Battiato ha scelto Silvia lo sai, Alice Farfallina ed Elisa Vieni a vivere con me. Con Cesare Cremonini, Luca Carboni aveva già cantato durante un live Mare Mare e a Jovanotti piaceva Ci vuole un fisico bestiale dallo stesso album “Carboni” (1992). Oltre a questi grandi successi, “Fisico & politico” contiene anche tre inediti: C’è sempre una canzone, brano scritto da Luciano Ligabue che vede per la prima volta Luca Carboni nelle vesti di interprete di una canzone inedita non scritta da lui; Fisico & politico, scritto e cantato con Fabri Fibra, che rappresenta il presente musicale del cantautore da sempre amante dell’incontro tra canzone e rap; e la ballata Dimentica, scritta e cantata da Carboni. Dal punto di vista della produzione, l’idea di base è stata quella di risuonare di nuovo i brani del passato, cercando di rispettare la loro storia e il loro mondo, un lavoro che è stato possibile concretizzare anche grazie al talento dei musicisti italiani e americani che hanno suonato in questo album realizzato a metà tra Milano e Los Angeles.

Mimmo Parisi è un fan di Luca Carboni. Qui il link all’album “Et c’est passé”:  http://www.jamendo.com/it/list/a133344/et-c-est-passe

Franco Flores, blogger di tuttorocksound

Ricky Portera, incontro

 
 
le nostre interviste
Chitarrista di grande personalità, unisce una grande sensibilità espressiva ad una tecnica strumentale superiore. Ha contribuito al successo di Lucio Dalla e degli Stadio. Ha suonato, tra gli altri, con Venditti, Ron, Paola Turci. È in uscita il suo secondo CD
Ricky Portera, la chitarra per comunicare
di Antonio Aprile

 
 
 
 
 
Pochi musicisti riescono a far cantare il loro strumento come Ricky Portera riesce a fare con la sua chitarra. E pochi sono riusciti a mantenere la propria personalità e individualità, senza farsi in qualche modo schiacciare dal peso artistico dei cantanti che hanno accompagnato (e, nel caso di Portera, si tratta di artisti di grosso calibro). Nell’intervista che con molta gentilezza e disponibilità ci ha concesso, abbiamo affrontato vari temi partendo, ovviamente, dallo strumento per arrivare ad alcuni aneddoti e retroscena molto belli delle collaborazioni con Dalla e Stadio in particolare, arrivando fino a Van Halen… Ricky è una persona vera, perché la ricerca del cuore, dell’ emozione, della sensibilità della musica è il vero punto di forza in quello che non è solo il suo lavoro, chitarrista, ma un suo vero e proprio modo di essere, quando la chitarra stessa diventa una estensione dell’anima e della sensibilità di un uomo.
Sembra strano che in Italia solo le riviste specializzate del settore si occupino dei musicisti, di chi costruisce il suono delle canzoni che poi ascoltiamo…
Non siamo presi in considerazione, ahimè…
Tu sei un chitarrista rock, ma non ami molto Blackmore che invece è il classico punto di partenza per la maggior parte dei rocker
Forse perché io sono un pochino antecedente a quel periodo. Il fatto è che ho avuto altri ispiratori. Intanto sono un beatlesiano, sono partito con i Beatles, poi sono stato un hendrixiano, però c’è anche molto Jeff Beck.
E Rory Gallagher? Un nome in genere poco conosciuto…
Bravo, ecco. Infatti il mio principale ispiratore è stato proprio lui. Sentii subito che lui era diverso dagli altri, era lontano dai soliti canoni dei chitarristi, mi piacque subito.
Quanto c’è di istintività e quanto di studio dello strumento?
Guarda, nel mio caso è sola istintività. Ho studiato pochissimo grazie alla mia pigrizia… non sono mai stato un approfonditore, anche perché ogni volta che studiavo sentivo che perdevo molta della mia naturalezza perché nel momento in cui cominci a ragionare, cominci a pensare troppo e cominci a fuorviare la musica. La musica è un modo di comunicazione. Quindi pensare troppo a quello che devi fare comincia a snaturare il tuo io. Molto deve essere guidato da quello che è il tuo stomaco e il tuo cuore. In fondo, quello che direi a voce lo dico sulla chitarra, questo potrebbe essere il mio stile anche se non mi sento vicino a nessuno, mi sento un essere umano a parte, ma è come mi sento nella vita: sono un po’ un asociale, una persona introversa, non riesco molto a stare in mezzo alle persone se non con la mia chitarra perché è il modo più bello per potermi esprimere.
Cosa consiglieresti a chi vuole imparare? Hai avuto esperienze di insegnamento?
Si ho avuto esperienze di insegnamento però ti ripeto che io, non avendo dei canoni ben definiti, faccio un po’ fatica a far capire ai potenziali allievi che devono emozionarsi, perché l’ emotività non è da tutti. Da me arrivavano persone e mi dicevano ‘io voglio imparare le scale di Petrucci, di Van Halen’. No, non ci siamo! Questi chitarristi vanno ascoltati e ne va presa l’ essenza. Poi bisogna prendersi la briga di collocarli in un certo periodo storico e capire perché questa gente suonava in quel modo. Vedi io ho avuto una esperienza proprio un paio di anni fa di un paio di ragazzini che si sono avvicinati, sai i classici ragazzini di famiglia-bene, col pulloverino, la camicina sotto. Si sono presentati, mi hanno fatto i complimenti e poi mi hanno detto ‘Noi suoniamo dell’ hard-core’. Sai, rimango sbigottito. Bisogna essere se stessi. Io suono quello che sono. Mi guardi e non penseresti mai che suono del liscio o della  fusion. Si vede cosa suono, che l’anima è rock. Ma quel rock, se vuoi, inteso anche da fighetti, non è quel rock di rottura perché io sono quello, ognuno ha una sensibilità e un background proprio di vita che deve rispecchiare quello che poi va ad esprimere con la chitarra, sennò diventa falso, finto. Come sono un pochino i musicisti di oggi che sono freddi, amorfi. Bravi tecnicamente. Io conosco dei ragazzini di 13, 14 anni che hanno una tecnica impressionante che fa paura poi li ascolti tre minuti e non ti hanno detto niente. Non dicono niente e questo è il male, quello che cerco di correggere ai ragazzi quando mi chiedono dei consigli. Però non è facile perchè cominci a diventare antipatico quando uno arriva e ti dice ‘io vorrei lezioni di slap-tapping’ e io gli rispondo:’benissimo, hai sbagliato indirizzo!’ allora ci rimangono male e magari ti dicono ‘allora non lo sai fare’. No, lo so fare ma è un evento che capita una volta in una serata, quindi non posso insegnarti una cosa che si usa una volta al giorno o una volta ogni due giorni, che senso ha?
Oggi ci sono così tanti manuali che magari certe tecniche si acquisiscono anche così; uno invece che va a lezione dovrebbe cercare di sfruttare l’esperienza anche umana del chitarrista a cui si rivolge…
Ma sai, questo presuppone anche un certo tipo di intelligenza, di cultura, e spesso non puoi pretendere molto da persone che vanno a vedere i concerti e appena sali sul palco vorrebbero sentire solamente virtuosismi cose di questo genere. Abbiamo delle nuove generazioni a cui non gliene frega niente della canzone, devi solo stupirli.
Maurizio Solieri una volta ha detto: ‘bisogna essere consapevoli del fatto che il pubblico non si intende tecnicamente di musica’
Infatti il nostro detto è suono per le shampiste
Oggi poi si tende più ad ascoltare quello che ci viene proposto, radio, televisioni… ma se uno se si va a guardare magari il gruppetto nel pub…
Bravo! Lì scopri delle verità, certo, senza dubbio! Il problema è che oggi non esistono più le radio libere. Esistono questi business dove la case discografiche o i produttori pagano per avere dei passaggi in radio. Quindi l’ importante è pagare e poi te lo spacciano per un prodotto che sta andando quindi non c’è più la verità…
Cosa consiglieresti ad un musicista o chitarrista che vuole suonare in maniera diversa? Tre dischi…
Ma no, guarda, non è questione di dischi. Io consiglio sempre di chiudere gli occhi: sei arrabbiato suona da arrabbiato, sei felice suona da felice. Ecco, questa è la cosa vincente secondo me, me ne rendo conto quando faccio i miei concerti.. Quindi il consiglio che posso dare io è di ascoltare i grandi miti perché devi avere una cultura, essere aggiornato con quelli che sono i chitarrismi, però senza mettersi li a studiare tutti i passaggi, impararli a memoria, rifarli bene perfetti e poi non sapere dove metterli… Se devi fare l’ assolo di Little Wing che ci metti un solo alla John Petrucci? Hai visto la figura che ha fatto John Petrucci al G3 con Satriani e Vai? Sembrava un alieno, un pesce fuor d’acqua, uno che non c’entrava niente. Uno che si mette li a fare scale velocissime che non significano niente e non servono a nessuno. Così come non ho visto bene Robert Fripp. Una persona che poteva andare bene, anche se non è il mio amore in assoluto, era Malmsteen. Aveva il suo senso, però, vedi, anche lì esistono delle guerre… era troppo bravo per loro due! Quest’uomo ha ancora una mano che fa le scintille. Ci fermiamo, però, sempre ad un fatto tecnico. Guarda anche tu questo G3: se leviamo Joe Satriani che è l’unico che ha un po’ di umanità lì dentro… cosa rimane? Un circo! Io non sono molto d’accordo su queste cose.
E Steve Vai, allora?
Ma tu pensa che io sono un grandissimo ammiratore di Steve Vai però non per quello che pensano gli altri…
Si vede anche nel tuo setup: chitarra Ibanez Jem , Eventide…
E no sai, a parte il fatto che l’ Eventide io ce l’ ho da 20 anni quindi non è questo, seconda cosa io sono endorser internazionale delle sue chitarre. Comunque io ho una grande ammirazione per Vai perché è un grande musicista, è una persona che ha rivoluzionato la chitarra, ma vogliamo metterlo con Van Halen? È stato un personaggio che ha veramente sconvolto la chitarra ma in una maniera positiva. In una maniera umana…
Secondo me è stato interpretato male perché molti hanno colto solo l’aspetto funambolico del suo modo di suonare
Certo, bravo. Ascolta, per esempio, cosa non fa lui quando accompagna! Praticamente è lì la sua classe, la sua forza: accompagna in un modo magistrale. Tanto è vero che molti riescono a fare i suoi soli ma non riescono ad accompagnare come accompagna lui.
Infatti molti si concentrano solo sull’ assolo e non sul resto.
Perchè fa fare bella figura l’assolo! Il resto, la ritmica, non conta. Si parte da questa per arrivare all’altro. Noi partiamo al contrario: partiamo dal tetto per arrivare alle fondamenta, non regge…
Ho letto che Van Halen ti ha regalato anche una chitarra.
Mi ha regalato un corpo di chitarra, perchè sai che ai primi tempi le chitarre se le assemblava lui, Ci siamo incontrati in Germania tanto tempo fa, ci siamo inseguiti in varie music halls. A quei tempi i Van Halen avevano fatto il primo album. Abbiamo passato una serata insieme in un locale a Monaco e siamo rimasti in buoni rapporti. Poi lui l’indomani mi ha fatto avere un corpo di chitarra, quello giallo e nero. Tra le altre cose adesso la sto rimettendo in sesto perchè l’avevo abbandonata ma fra un pò tornerà a farsi vedere…
Nella tua carriera hai cambiato tante volte: sei stato negli Stadio prima ancora che venisse Curreri…
Si, allora: Stadio, Dalla, Venditti, Finardi, Bertè, Ron, de Gregori, Endrigo, Masini…
È stato il tuo bisogno di voler fare esperienze nuove o una precisa volontà di non essere identificato come il chitarrista di…
È stato malgrado me. Venivo cercato, anche perché, sai, a quei tempi avevo un suono talmente particolare, non c’erano tanti chitarristi che avevano l’impatto che riuscivo ad avere io specie dal vivo, perché avevo un approccio proprio molto energico.
Io ricordo alcuni dischi vecchi di Lucio Dalla…
Bé, non fanno molto testo perché nei dischi, ahimè, dovevo pure adattarmi a quella era che l’economia delle canzoni di Lucio, non che presupponessero di avere quella che era la mia anima veramente, lì è stato sempre un compromesso, un dare un colpo al cerchio ed uno alla botte.
Da questo punto di visita il lavoro come turnista è un pò limitante?
Diciamo che lanci le tue idee che poi devi smussare secondo le esigenze di chi ti sta pagando in quel momento.
Tra le cose più belle che hai fatto ricordo il live ‘dallamericaruso’, l’assolo di ‘Ayrton’…
Ti posso dire che l’assolo di Ayrton è stato fatto dopo un concerto degli AC/DC che ho sentito a Bologna: sono passato casualmente dallo studio per vedere come stava andando il disco di Lucio e lui mi ha detto: hai voglia di fare il solo? Erano le 2 di notte: ho preso la chitarra, quella gialla e nera, l’ ho attaccata al Marshall, proprio così, diretta, ho fatto il solo buona alla prima e quel solo lì ha fatto piangere della gente. La mia forza è questa: riuscire ad entrare nell’emotività di quello che sto suonando e continuare il discorso della canzone, quindi è come se il solo fosse un’altra strofa.
Qual’è la cosa di cui sei più orgoglioso tra quelle che hai fatto?
Le mie figlie!
Questa è una cosa molto bella che dici…
assolutamente!
E come concili questo tuo ruolo di rocker sempre on the road con quello di padre?
Vedi, siamo molto rock in famiglia…le mie figlie sono scatenate. Comunque non è stato difficile, perché grazie al cielo ho un look ancora abbastanza giovane, significa che posso uscire con le mie figlie e fare le stesse cose che fanno loro, parlo della grande, naturalmente. Tra un pò uscirà un disco mio molto autobiografico. La canzone più bella si chiama proprio ‘bambina mia’ ed è una canzone nata per mia figlia. Non so se ci sarà nel disco perché secondo me è una canzone di Sanremo quindi vorrei tenermela un pochino…
Tenerla per eseguirla tu o darla a qualche interprete?
Vorrei farla io, ogni volta che la sento immagino il palco di Sanremo, e potrei arrivare anche ultimo…
Ultimi sono arrivati illustri predecessori, Vasco, Zucchero…
Bè anche gli Stadio…
Quindi è una specie di documento che lascerai alle tue figlie?
Si ma non solo, anche di come ho vissuto certi amori io, c’è una storia che è la separazione con mia moglie, un’altra che parla di una ragazza della quale sono stato molto innamorato, e che ho perso, insomma ci sono molte cose, è tutto autobiografico. C’è una mia immaginazione di esere in manicomio, tanto prima o poi ci andrò a finire… ci sono un pò di cose, infatti il pezzo trainer si chiama ‘ci sono cose’…
Ti piacerebbe che le tue figlie imparassero a suonare? Farai niente per spingerle?
No, assolutamente. la piccola sarebbe un pò indirizzata verso la batteria ma spero che non tocchino strumenti!
Perché?
Perché è una vita da dannati, dove non sei mai a posto, non sei mai in pace, fai un brutto concerto perché sei stanco, per l’umidità che ti ha inchiodato le mani, perché hai guidato per centinaia di chilometri ed hai le mani atrofizzate, o perché il pubblico non ti stimola, io la notte poi non ci dormo, capisci? Sai quante volte ho ricominciato non dico a studiare però a riprendere quello che pensavo mi mancasse. Quindi è sempre un mettersi in discussione…
Con gli Stadio è stato un periodo travagliato, vero?
Assolutamente, anche perché Lucio Dalla si sentiva un pò il padrone di questa cosa, e Curreri non remava in favore del gruppo. Curreri ha sempre vissuto una specie di sudditanza nei miei confronti, un timore reverenziale, comunque il problema è stato che gli Stadio li ho fatti morire per quello che riguardava me e non ho preso niente di quello che era mio, gli ho lasciato tutto. Tra l’altro, attenzione, hanno collaborato al mio disco, c’è una chicchetta: facciamo un duetto io e Gaetano Curreri con ‘Canzoni alla radio’ che era mia .
L’ hai scritta assieme a Carboni…
Esatto. comunque oggi gli Stadio avrebbero potuto essere molto di più di quello che sono perché oggi si sono un gruppo che si fa rispettare, sono un gruppo che ha un suo pubblico però non hanno mai fatto il grande salto.
E di Lucio Dalla cosa ci puoi dire, invece?
Ma sai, Dalla è una persona molto strana… uno che comunque va per la sua strada, malgrado sia una persona gradevolissima con un grande cuore, ma ha questa forma di ‘posso fare tutto da solo’ che a volte mette in imbarazzo anche me che ormai lo conosco da 30 anni.
Bè se non avesse avuto questo carattere non avrebbe fatto quelle cose originali e fuori agli schemi, si sarebbe omologato anche lui. Invece quando fa un disco Dalla non è mai una cosa banale…
Sicuramente, questo è vero.
Anche se io preferisco le vecchie produzioni…
sicuramente.
Hai detto: Paolo Zanetti è l’unico che mi fa paura… tra i chitarristi oggi chi vedi bene?
Si, si è vero (ride, nda), è bravissimo perché non imita nessuno e nel frattempo ha preso da tutti e questo è molto bello, a me piace e gliel’ho detto: tu sei un grande chitarrista, se non ti perdi per strada sei un grande chitarrista.. Comunque parlando dei chitarristi presenti sul mercato io ho un grande amore per quello di Pelù, Maramotti, e poi per Luca Colombo, che ha fatto un bellissimo disco strumentale. Bravissimo, veramente bravo, entrambi. Ho anche un pò di invidia devo dire…
Sono stili completamente diversi. Tu, comunque, non sei un vero turnista: quando fai un disco sei Ricky Portera…
Si, questo è vero. Non accetto sottomissioni o cose di questo genere. Però sai cosa mi dispiace? Che io ho fatto un sacco di dischi con gente che non è mai uscita, ho fatto veramente delle cose bellissime, anche perché essendo personaggi non di rilievo mi lasciavano veramente carta bianca, Prima o poi vorrò fare una raccolta di queste cose e fare un piccolo tributo a queste persone, una presentazione dei lavori che ho fatto, un tributo a Ricky Portera, me lo faccio da solo…
In genere i tributi si fanno in circostanze poco liete…
È vero… (risata, nda)
Si può dire che la dimensione del club è forse quella più vera del musicista? In fondo negli stadi si sta su un palco lontani dalla
gente…

Assolutamente, certo
Parlaci della tua band….
Ho un batterista eccezionale che si chiama Giorgio Pescara, ha suonato con Finardi, Camerini, Grignani, e un bassista un pò più sconosciuto dal punto di vista dei grandi nomi ma veramente bravo: Gianni Cicogna, un Billy Sheehan della situazione… è un trio notevole.
Quali brani suonate?
Amo rifare i pezzi tipo Come Together o Sunshine of Your Love, questa in particolare in una versione techno veramente molto bella…
Le critiche come le prendi?
Bene, io sono uno che da molto ascolto. Nel mio sito (www.rickyportera.com) ricevo molta posta e se mi fanno delle critiche a me va benissimo, anche perché non ho la presunzione di essere perfetto
Come ti poni di fronte al mito del musicista?
Ma sai non è questione di mito, poi alla fine quando sei lì e ti bevi una birra insieme i miti vanno nel dimenticatoio, perché i ragazzi hanno bisogno di sapere che sei uno come loro anche per prendere fiducia, per sapere che possono arrivarci pure loro, perché non siamo alieni, quindi ci si prende una birra insieme e vedono le nostre debolezze i nostri pregi, tutto quello che gli pare. Io lavoro soprattutto nei pub, perché è il mio lavoro prediletto quello.
Tu vedi la chitarra prevalentemente inserita in un contesto di canzone, vero? Hai già fatto un cd ed ora questo secondo di canzoni, non per chitarristi…
Sai, io ho un sacco di cd di chitarristi, ma se non vai a guardare i nomi sembrano tutti uguali. Non me la sentivo, quindi, di fare un disco chitarristico, non puoi andare al di là di certi canoni se fai delle cose per addetti ai lavori. Anche perché ti vai a mettere in un ambito dove non sei più considerato per quello che stai suonando ma per come lo suoni, e a me non va bene questo, non voglio essere giudicato per ciò che devo apparire ma per quello che sono e quello che sono io devo tirarlo fuori nell’ambito di una canzone, è inutile stare li a raccontarsela. Per questo non me la sentivo di fare un disco tecnico, sarei finto, sarei falso. mentre invece nel mio disco c’è molta verità e ci sono sempre delle chitarre bellissime, degli arrangiamenti particolari… ho rifatto ‘La sera dei miracoli’, cantata proprio da Lucio, me l’ha cantata lui nel disco ed è una cosa, una energia allucinante, c’è un solo alla fine bellissimo. Mi premurerò di fartene avere una copia appena uscirà.
Magari faremo una recensione del disco…
Bene, molto bene, magari leggerò che poi non ti è piaciuto… ma sono convinto che sia un bellissimo disco.
Ci sono delle chitarre acustiche?
No acustiche poco, ho usato un dobro
Tu le hai usate spesso con Lucio Dalla…
Si. Comunque c’è in un pezzo diciamo ‘pseudo’ classico, fatto nella maniera classica. E’un duetto con un violoncello dove viene fuori un’ orchestra, è un disco molto bello e vario.
Tu generalmente hai tempi rapidi in studio, però così non rischi di non entrare nel pezzo?
Vedi, è qua la mia forza. Io non voglio sentire prima il pezzo, voglio vivere lì con la chitarra in mano al momento, poi butto giù delle cose poi da li si comincia a scremare un pochettino e si arriva alla fine.
Sempre seguendo il cuore e mai la tecnica lasciando che la mano corra guidata dall’istinto…
Assolutamente! se comincio a fare cose pensando che ‘verranno ascoltate da chi e quindi devo usare cose che.. ‘ ho chiuso, comincio a fare delle cose inutili, a diventare pacchiano.
In Italia si collabora poco tra gli artisti, vero?
Hai toccato un tasto molto delicato. Io sono stato molto fortunato perché nel mio disco hanno collaborato tutti i più bravi musicisti che abbiamo a partire dai cantanti: Curreri, Dalla, Freak Antoni;poi musicisti: Daniele Tedeschi, Gallo, Cottafavi Roberto Gualdi, Solieri, Marco Nanni, Giovanni Pezzoli. Ho avuto un sacco di ospiti, la fortuna di trovare la gente onorata di lavorare con me.
La scuola romagnola si conferma la numero uno?
Ma senz’altro…. Antonio, tu vivi a Reggio Calabria, vero?
Sì, è la mia città…
Ti invidio perché sei li e puoi annusare quell’aria dello stretto, sono posti bellissimi che conosco bene: a Messina ho la mamma ed un sacco di amici…
Purtroppo qua per suonare non c’è molto…
È quello purtroppo che mi frena, perché se ci fosse modo di lavorare io sarei giù da un pezzo.

Qui, la cover del singolo “Il dolce tempo di Maria”, di Mimmo Parisi, un cantante/chitarrista che ha sempre ammirato il grande Ricky Portera.

copertina album  mimmo parisi - artista - Musica   Download / Streaming  Il Dolce Tempo di Maria

Potete fare il free download a questo link: http://www.rockit.it/mimmoparisi/album/il-dolce-tempo-di-maria/25415

 
     

 
Autorizzazione del Tribunale di Reggio Calabria n°8/2003 – Spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20 lettera c – legge 662 del 23/12/1992 

Poesie e canzoni

 

 
 
 
Tenendo ben a distanza la retorica di una certa idea sulla figura della madre, ma piuttosto cercando vie nuove, riportiamo qui qualche scritto di autori che, solo per una questione squisitamente temporale, a volte sono confusi con quella pletora di narratori di mamme stereotipate.
Il primo è niente di meno che il Generale.
 
Mia Madre
(Giuseppe Garibaldi)
Nelle circostanze più terribili
della mia vita, quando l’oceano ruggiva sotto
la carena, contro i fianchi della mia nave,
sollevata come un sughero; quando le palle
fischiavano alle mie orecchie e piovevano a
me d’intorno fitte come la gragnola, io vedevo
sempre mia madre inginocchiata, immersa e
nella preghiera, ai piedi dell’Altissimo.
Ed in me, quello che trasfondeva quel coraggio,
di cui anch’io rimanevo stupito, era la convinzione
che non poteva cogliermi alcuna disgrazia,
mentre una così santa donna,
un tale angelo pregava per me.
 
Il secondo invece rimanda ai libri di lettura del post dopoguerra, anche lui, valente poeta ma legato al “devi imparare la poesia, altrimenti non posso dare la sufficienza!” dei vari maestri elementari.
 
Il Sorriso della Madre  
(Angiolo Silvio Novaro)
Benedetta la casa
illuminata dal sorriso della madre!
Sorriso della madre!
Più nitido e luminoso del primo raggio di sole
quando appare alla creatura
che riapre gli occhi al mattino, lusinghiero
quando saluta e dice addio da un davanzale
e accompagna fino alla svolta della strada,
e chi si allontana se la porta nel cuore e la
strada gli sembra più amabile di ieri e il
mondo gli sembra più roseo…
 
Il terzo, invece, è un autore dei nostri giorni, più precisamente si parla di Mimmo Parisi, cantautore appassionato di Letteratura, del quale riportiamo il testo di una delle sue ultime canzoni che ha come riferimento, per l’appunto, la figura materna.
 
Il Dolce Tempo di Maria
(Mimmo Parisi)
Quando avevi le bambole col tuo re
Con le trecce tu piccola senza me
Tra un sorriso e una favola forse avrai
Letto sopra una nuvola che io avrei
Avrei
Raggiunto te
Così divenne
Mio
Il dolce tempo di Maria
Mi ricordo il cappotto tuo quello che
Ci si stava stringendosi pure in tre
Ore sono un funambolo con i guai
Senza te non ho corda in cielo ormai cadrei
Cadrei
Dov’è
Quel tempo tuo
Ma dove ho perso
Mai
Il dolce tempo di Maria
Il tempo con la sua magia
Tutti i dolori porta via
Con te invece non è forte
Continui a dirmi buonanotte
Bimbo mio
Dov’è
Quel tempo tuo
Ma dove ho perso
Mai
Il dolce tempo di Maria.
 
A cura di Diego Romero
Qui il link al video:
 

Il cantante belga Stromae

Alcuni professori delle scuole e dell’università nel Regno Unito hanno adottato i testi di Stromae per una nuova tecnica di insegnamento, meno tradizionale, ma di grande impatto tra gli studenti. “Le sue canzoni – ha detto il docente Helen Myers al sito belga “7 su 7” –  sono molto belle. Tutte le generazioni sono sensibili alla musica e la musica di Stromae piace anche a me: ha qualcosa di irresistibile e accattivante. Le parole dei suoi brani si rivolgono agli adolescenti e sono di facile comprensione. I suoi scritti brillano per la loro chiarezza e significato”. Qualora Stromae, 28enne di origini ruandesi, decidesse di ritirarsi dalle scene avrebbe un futuro assicurato da insegnante di francese. E’ così che si elimina la disoccupazione, prima fai il cantante di successo e poi ti assicuri un futuro da insegnante. Va be’, in tempi di crisi ci si possono permettere anche battute ironiche per tenersi su.

E, a proposito di cantato francese, si ricorda che “Et c’est Passé”, album di Mimmo Parisi, cantautore particolarmente appassionato dei chansonniers, si può ascoltarlo qui:

http://www.jamendo.com/it/list/a133344/et-c-est-passe

playlist artwork

Diego Romero, blogger e giornalista freelance

Testo integrale di “Et c’est Passé”

 

 
 
 
Et c’est Passé
(C. Parisi)
 
[banner]E’ tutto passato perfino del PIL
M’importa poi molto e’ meglio Jaques Brel
Che non mi prende per culo
Che dice in faccia sei solo
Lo sarai sempre più
E’ tempo di sosta al vecchio autogrill
Mi spaccio per strano per Buffalo Bill
Ma che mi frega se loro
Ci credon poco sia vero
Tanto ormai più non è
L’age…
Et c’est passè c’est passè
Des illusions l’age adieu
Insieme con le speranze
Rinchiuse dentro le stanze
Et c’est passè c’est passè
E sei passata pur te
Che sei barattolo vuoto
Nella strada buttato
…Buttato
Cos’è la speranza un cane col muso
Che guarda incollato ai ferri di casa
Insieme ai sogni le donne
Anche lei perde le gonne
E va via più non è
L’age…
Et c’est passè c’est passè
Des illusions l’age adieu
Insieme con le speranze
Rinchiuse dentro le stanze
Et c’est passè c’est passè
E sei passata pur te
Che sei barattolo vuoto
Nella strada buttato
…Buttato
 
 
(Per gentile concessione di Giovanni Contini 
Qui il video:

Citando Jaques Brel

 

“Et c’est passé c’est passé

E sei passata pur te

Che sei barattolo vuoto

Nella strada buttato.”

In bilico tra la poesia, la musica e, perfino, la filosofia. Questa una prima sintesi di quest’album di Parisi, col titolo in francese “Et c’est Passé”, composto di 6 pagine di note e significati.Se ci si contenta di una sbrigativa visione, si direbbe che la speranza e la disillusione sono gli ‘oggetti’ che permeano tutte le canzoni, e che questo album è una sorta di raccolta di istantanee ripensate nel silenzio dello studio Alidicarta, dove Mimmo articola la sua attività di cantautore. Speranza e disillusione costituiscono un potente ossimoro che permette di guardare comunque e nonostante, al giorno che si tramuta in notte e all’alba che accende l’orizzonte: in ogni caso, è sempre successo, la luce, anche se minima, si manifesterà. Quindi un invito alla fiducia è pur presente tra le pieghe delle parole dei 6 brani. Non mancano i marchi di fabbrica di questo cantautore appartato: punti di vista originali da poesia stradaiola (“Il Grande Cielo”), profili politici (“Arrendetevi Siete Circondati” e “Qui ci Vorrebbe John Wayne”), temi personali (“Il Dolce Tempo di Maria”) e considerazioni  sul contesto sociale decadente (“Tempi Duri) che, ormai da troppo, attanaglia questa Italia che meriterebbe ben più equilibrate figure e meno, ma molto meno, biechi personaggi più interessati a fare un passaggio al Parlamento per assicurarsi il vitalizio da nababbo, che a quello che un professionista di media capacità dovrebbe saper fare di default per la socialità.

Quindi, Parisi, cantautore appassionato del sociale, tra l’altro, pubblica quindi queste 6 canzoni all’ombra della perdita delle illusioni, come da testo di “Et c’est Passé”. Ma le illusioni sono veramente negative? Diciamo che, anzi, per grande fortuna esse esistono. E ancora, le illusioni sono la materia prima con la quale si costruisce la fanciullezza, l’età che è fatta di attese, di sogni, di speranze, perché poi  l’età adulta non riserva più neppure il piacere , illusorio e inesistente, dell’attesa di un bene futuro. E’ quindi, diamo qualche chance a questa escamotage della psiche. Infine, vale la pena ricordare che, tra i poeti, Leopardi è stato uno che ha vissuto anche grazie alle illusioni.

Alex Baldini (http://chitarre20.blogspot.it/2014/04/e-tutto-passato.html), giornalista e blogger

Qui il video del brano pilota dell’album:

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