Siamo tutti dimenticabili, i 'grandi' li ricordiamo perchè bisogna portare a casa un bel voto da scuola.

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Artisti per la cronaca

Articolo di giorgiaconti in data 20-04-2015

Dal 21 marzo è possibile ascoltare un bel brano dalle tipiche sonorità rock ballad, “McDonalds’s Angel”. La canzone, scritta e presentata dal cantautore emiliano Mimmo Parisi, è, per certi versi e intenti, accomunabile a una canzone degli Stadio, “La mia canzone per te”. Questo ultimo brano faceva parte dell’album “Diluvio universale” del 2009, lavoro che vede un apporto importante di scrittura da parte di Vasco Rossi.

Una canzone, “La mia canzone per te”, che non era stata scritta espressamente per Eluana Englaro, come dichiarato da Curreri, ma di fatto dedicata a lei in tutti i loro concerti. Infatti, in una intervista di qualche tempo fa, Curreri ha espresso “che parla dell’amore per chi siamo costretti a lasciare per sempre e quindi, in questa canzone, ci sentiamo un po’ tutti Beppino Englaro, padre di Eluana, la giovane donna lecchese rimasta in stato vegetativo per oltre 17 anni e dichiarata morto il 9 febbraio 2009”.

“McDonalds’ Angel” ha gli stessi intenti e attinge allo stesso humus: i fatti della società, la cronaca. Poi, non ci vuole molto a notarlo, i caratteri delle due storie, quella di Eluana Englaro, nel 2009, e quella di Tugce Albayrak, ragazza deceduta in seguito a un’aggressione nel 2014, sono simili nella loro drammaticità.

Agli Stadio e a Mimmo Parisi, va sicuramente il plauso per il loro impegno profuso, anche in direzioni diverse dall’ordinario aspetto commerciale previsto per la pubblicazione dei dischi.
Trovate il link per il download di “McDonalds’s Angel”qui:

Giorgia Conti, giornalista freelance

Tamara de Lempicka, Palazzo Chiablese

Raffinata ed eccentrica quest’artista tanto cara al mondo della moda per la sua attenzione quasi maniacale a cappellini e sete svolazzanti – in mostra rappresentati al meglio dal suo chef d’oeuvre, Ragazza in verde dal Pompidou di Parigi – cui la critica non perdonò le pose fin troppo plastiche e i famosi ricci di capelli come “di trucioli”, emerge dalla narrazione della curatrice Grazia Mori in tutte le sue ambivalenze e in un’insolita veste più intimista e retrospettiva.
Scrive la Mori: «diversi sono gli aspetti evidenziati in questa nuova esposizione, dal taglio inedito, che presenta una Lempicka più intima e segreta, con alcune sorprese ancora custodite nei “mondi” di Tamara, una mostra da esplorare come se si viaggiasse in universi paralleli”, e dove è evidenziato il rapporto con i grandi fotografi della sua epoca, e lo studio costante dell’arte del passato, creando così attraverso la commistione di “antico” e “moderno” uno stile unico e inimitabile».

 
 
 

Alimentandone il mito con misteri e date confuse la stessa de Lempicka trasformò la sua vita in un vero capolavoro, che grazie all’ampia documentazione fotografica dell’artista-modella emerge con il suo estetizzante portato di sfrontata assidua del bel mondo, che oltre a due mariti ebbe fra i molti spasimanti bellissime donne, ricche eredietiere ed eccentrici aristocratici, permettendosi financo l’ardire di rifiutare le avances di Gabriele D’Annunzio.

Sono ottanta le opere dell’artista polacca presenti in mostra, lungo un percorso diviso in sette sezioni.

L’esposizione è promossa dal Comune di Torino ed è prodotta da 24ORECultura–Gruppo24Ore e da Arthemisia Group.

Tamara de Lempicka, Palazzo Chiablese, fino al 30 agosto 2015

(Notizie raccolte a cura di Liliana Antonelli)

McDonalds’s Angel, una storia dei nostri giorni

Tugce Albayrak
Comunicato stampa

 

Articolo di massimoalbertini in data 21-03-2015

STELLEDICARTA & ALICERECORDS annunciano il nuovo singolo di MIMMO PARISI, sensibile cantautore e chitarrista bolognese!
Il lavoro si intitola “McDonalds’s Angel” ed è già disponibile sulla rete. Il nuovo singolo di PARISI è stilisticamente ispirato al sound nobile degli 80′s, ma, come avviene sempre per i fuori classe, il rimando a un certo modo di concepire gli arrangiamenti e i suoni è più un suggerimento per gli ascoltatori che una rigida linea guida per chi, come PARISI, scrive e propone musica. Semplificando, quindi, si può dire che siamo di fronte a un genere influenzato dal neoclassicismo di marca chitarristica (vedi Malmsteen) e, nel complesso, a un Hard Rock che risente ampiamente delle temperie sociali di questi primi anni di terzo millennio.

“McDonalds’s Angel” è, da un punto di vista testuale, una canzone nata come reazione a una notizia balzata sulla rete alla fine dell’ennesimo annus horribilis – ormai dal 2007 è l’unico modo per definire i 365 giorni che si alternano nel nuovo secolo senza grandi soluzioni sociali -, ovvero, quell’evento che ha avuto come protagonista una ragazza che il popolo della rete ha definito come “L’angelo del McDonalds”.
Il fatto è, purtroppo, drammatico: due ragazzine di 13 e 16 anni, a Offenbach, in Germania, subiscono apprezzamenti non richiesti da un gruppo di giovani balordi; una ventiduenne, Tugce, le difende e, all’uscita dal locale, viene aggredita e ridotta in fin di vita.
MIMMO PARISI, cantautore indipendente, di tutta la vicenda e con infinito rispetto per la tragedia, ne ha fatto un brano struggente e nello stesso tempo, senza pretese.
Questa è una canzone fatta e presentata in punta di piedi; PARISI abbandona ai flutti della rete, come una specie di messaggio in bottiglia, le parole e le note di questo brano.

 Voto: 9, per la realizzazione e, soprattutto, per l’attenzione agli eventi che contano in questa società che dimentica presto, e senza trarre un insegnamento dalla bufera che gli gira intorno.

Qui il download:
https://www.jamendo.com/en/track/1210127/mimmo-parisi

Youtube site: https://www.google.it/#q=mimmo+parisi+youtube
Artist distribution: https://www.jamendo.com/it/artist/422708/mimmo-parisi
Label facebook: https://www.facebook.com/search/results.php?q=Mimmo+Parisi&init=public
Song’s Words: http://www.testitradotti.it/canzoni/mimmo-parisi
Reverbnation: http://www.reverbnation.com/mimmoparisi

Dammi una mano, un singolo per non lasciare nessuno indietro

My last song

Il cantautore Mimmo Parisi la sua Stratocaster ci presentano sui digital store “Dammi una mano”. La canzone  vuole essere un tentativo per occuparsi di chi, per colpa degli dei o di un destino beffardo, si trova a partecipare sempre alla fine: quando la festa è finita e le sedie sono capovolte sui tavoli.  Per gli appassionati, sul suo canale Youtube è possibile vedere il videoclip associato al brano. Più precisamente, il tema di questo progetto musicale è legato al ‘curioso atteggiamento’  di alcuni che trattano materie importanti come le limitazioni organiche o psichiche con disinvoltura fuoriluogo e con profonda superficialità. Questi personaggi  creano continuamente neologismi improbabili per indicare patologie che avrebbero bisogno di atteggiamenti meno da topo da biblioteca, con più realismo e concretezza.
Infatti, cosa c’è di inaccettabile nelle parole cieco, sordo, zoppo o altro? Gli apparentati all’Accademia della Crusca non vogliono saperne e fanno i giocolieri della parola, inventando termini  che, secondo loro, andrebbero a modificare la realtà. Così, dopo gli audiolesi, ci hanno presentato i visulesi!
Non si arrendono al fatto che le parole non possono modificare la sostanza delle cose: ciechi e non vedenti sono sinonimi e basta. Se ci accorgiamo di essere capaci di aiutare qualcuno, be’, diamoci da fare… ma per cortesia: non a parole!
Questa è la morale della canzone “Dammi una mano” del bolognese Mimmo Parisi. Voto: 9

Alessandra Vinci, blogger

Terrorismo in Europa, Charlie Hebdo

Alle 17 di venerdì 9 gennaio di questo 2015 ancora echeggiante di vagiti, si conclude la corsa di due francesi e di un immigrato. Il loro è un addio definitivo e irreversibile. Non avevano accumulato molto tempo su questo pianeta: i due fratelli franco-algerini Cherif e Said Kouachi, avevano circa 30 anni. Pochi per aver potuto realizzare un progetto di vita che ci si aspetta da qualunque individuo che calchi il suolo della Terra. Probabilmente il loro giudizio non collimerebbe con quanto appena detto. Forse avrebbero ragione. Chi lo sa. Alla fin fine, dopo lo scellerato Al Qaida dell’11 settembre, toccherà a loro essere ricordati nei libri di storia. Quell’11 settembre del 2001, quando c’era l’“America under attack”, così titolarono molti giornali; ora è la volta della Francia e dell’Europa a essere “under attack”. Ecco il progetto di vita realizzato da Cherif e Said Kouachi: coltivare per 30 anni i loro corpi e le loro menti per spargere il terrore in Occidente.

Come si può vivere e prepararsi alla semina del terrore? C’è una logica che può essere condivisa, perlomeno scientificamente, psicologicamente? Probabilmente esiste una risposta soddisfacente a questa domanda, ma al popolo, alla gente comune che si rattrista per un lavoro che tarda ad arrivare, che si appassiona a un gol mancato, che si preoccupa per la bimba con la varicella e per tante altre ‘banalità’ che costituiscono la vita che scorre tutti i giorni, questa risposta sfugge. D’altra parte, non solo la logica dei terroristi è avulsa dalla gente, ma, per ironia della sorte, il terrore va a battere cassa proprio a loro: ecco quindi, in questo contesto, entrare in scena un altro vissuto invano, Amedy Coulibaly.

Questi, a quanto pare, ha tentato di mediare una soluzione di salvezza per i due fratelli. L’8 gennaio aveva ammazzato una poliziotta, un gesto assassino che sembrava non aver collegamento con gli attentatori di Charlie Hebdo. Purtroppo, come si è visto, le cose non stanno così. Infatti il 9 gennaio è entrato in un supermarket, ha fatto degli ostaggi, e ha ammazzato ancora.

Un trio e una storia, quella dei fratelli Cherif e Said Kouachi, e Amedy Coulibaly che, quando le ombre della sera invernale hanno iniziato a disegnarsi su Parigi, improvvisamente si è trovata all’ultima pagina. La pagina della fine. Le forze di polizia, le teste di cuoio e i loro dirigenti hanno rotto gli indugi e hanno attaccato. Non si poteva più temporeggiare. Il sole calava e la notte non avrebbe portato consiglio, questo hanno pensato in Francia.

“Matite spezzate”, ecco il crimine di Cherif e Said Kouachi, e Amedy Coulibaly. Hanno preso le matite occidentali e le hanno rotte con i loro proiettili. Dal luttuoso 11 settembre il terrorismo di marca islamica ha fatto grandi passi. Per quanto l’argomento sia negativo, bisogna riconoscere che questi terroristi hanno messo a fuoco cosa veramente possa abbattere un popolo: la distruzione della loro cultura. Una cultura che sa di penne che scricchiolano e matite odorose di legno. Una civiltà avanza nella Storia con saggezza, circospezione. E scrive; prende appunti con i suoi pezzetti di legno con l’anima di grafite. E con quella stessa grafite fa schizzi e disegna.

E COSA FACEVANO I GIORNALISTI E I VIGNETTISTI DI CHARLIE HEBDO SE NON SCRIVERE E DISEGNARE?

Hanno voluto spezzarle quelle matite, hanno voluto spezzare la libertà d’espressione che simbolizzano. Ecco quindi l’Occidente ferito a morte da tre progetti di vita mancati, e plagiati da menti lontane che gestiscono scuole di terrorismo esotico.

(Di Diego Romero, giornalista web)

Reed, cantautore americano

Lou Reed, cantautore americano
 
Il 27 ottobre di un anno fa, Lewis Allan Reed, ovvero Lou Reed, lasciava il mondo che aveva conosciuto e combattuto. Il suo ultimo commento fu “Tomorrow I’m smoke”, “Domani sarò fumo“, una riflessione finale degna della sua penna caustica e poetica nello stesso tempo.

Lewis era nato a Brooklyn il 2 marzo del 1942. Il ragazzo nasce da famiglia bene, tuttavia la sua indole ribelle diventerà un problema per tutti, in primis per lui stesso. La scuola, l’autorità, il conformismo, la normalità e tutti quegli usi e costumi atti a forgiare un cittadino modello o perlomeno accettabile per la società, sono tutti enti sentiti da Allan come corde di canapa che gli sconvolgono le membra. Perchè essere inchiodato alla croce della società perbenista? Questo si chiede Lewis che sentiva di essere nato libero; non si sentiva una volpe con la zampa incastrata nella trappola dei cacciatori di frodo, bensì un ragazzo con tanti progetti di vita. Una vita a modo suo, ma una vita: d’altra parte cosa avrebbe dovuto programmare, una vita a modo d’altri?

Comunque sia e come c’era da aspettarsi, Lou Reed fu osteggiato nei suoi propositi personali. I suoi genitori tentarono di tutto: sedute con psicologi, elettroshock e quant’altro. I risultati furono distruttivi. Droghe varie e alcol diventeranno per Lewis i farmaci coi quali tentare un’auto medicazione nei momenti critici, ovvero tutti i giorni e tutti gli anni (esclusi i tentativi di ‘purificazione’ sanitaria fatti in qualche centro come già altri colleghi avevano tentato con alterna fortuna).

L’unico farmaco che riesce a sostenerlo è la musica, o, meglio, l’arte dell’esercizio del pensiero. Molti, parlando di artisti rock, citano la ‘musica salvatrice’, creando nel lettore confusione; la musica come esisteva all’epoca di Amilcare Ponchielli è un reperto superato, quindi si dica che è l’attività artistico/creativa che caratterizza personaggi come Lewis Allan Reed.

Lou Reed, insieme ai Velvet Underground, porta avanti un discorso rock particolarmente originale e fedele alle premesse. Nel 2003, il poeta Lou Reed con il doppio cd The Raven, rilegge a suo modo un altro poeta, Edgar Allan Poe. Ospiti pregiati di questo lavoro sono Ornette Coleman, David Bowie, Willem Dafoe.

In Italia, accostabili al suo approccio che predilige la poesia e la disillusione presi dal mondo della strada, troviamo diversi artisti che, in misura diversa, si sono ispirati alla sua figura: Edoardo Bennato con Un giorno credi, Ligabue con Urlando contro il cielo, Alberto Fortis con Milano e Vincenzo, Mimmo Parisi con Il grande cielo, Carboni con Inno nazionale e altri.

Vale la pena segnalare che, a omaggiare la memoria di Lou Reed, il 18 ottobre in Italia, precisamente al Teatro della Concordia di Montecastello di Vibio, si è esibito il bassista storico del cantautore americano, ovvero Fernando Saunders che ha eseguito alcuni brani di Reed. Il bassista, proprio grazie all’esperienza maturata con Lou, ha nel tempo poi collaborato con Marianne Faithfull, Steve Winwood, Eric Clapton, Jimmy Page, Joan Baez e persino Luciano Pavarotti.

Per dicembre sarà reso pubblico se il compianto Lou Reed, avrà la possibilità di apparire come personaggio nella famosa Rock And Roll Hall Of Fame. Parafrasando un adagio abusato, si potrebbe dire che la prima band non si scorda mai; la sua prima band si chiamava The Shades e Lou, l’anno scorso, vi è rientrato: per lui era arrivato il tempo di ritornare a essere ‘shade’, ombra.

 Diego Romero, giornalista web

Luciano saluta Medicina 33

 

Visti i tempi grami nel quale si dibatte la nazione Italia, nonché quella buona parte del mondo civile che dipende da una economia gravemente deficitaria, il passaggio di consegne da Luciano Onder ad un’altra conduzione del popolare programma,  porterebbe a dire che Medicina 33 passa a 32. Insomma qualcosa bisogna risparmiare. E’ già da qualche tempo che la notizia di Onder, orfano di Medicina 33, occupa supporti cartacei o virtuali. Parte da qui il tentativo da parte di chi scrive a segnalare con un 32 quel che rimane di Medicina 33, il programma post prandiale del post prandiale, per antonomasia e tradizione di lungo corso, appunto, ottimo Luciano Onder; il quale, tra l’altro, è dotato di un cognome che fa rima baciatissima con ‘stupore’, in inglese ‘wonder’.

Stupore per cosa poi? Sicuramente per il garbo d’altri tempi e per il conforto che il presentatore regala col tono della sua voce, pur trattando di patologie. Onder, quindi, come la speranza fatta conduttore e portatore di buone nuove sui farmaci che tolgono i malanni a chi ascolta mentre beve il caffè davanti alla tv. Al suo posto c’è già una curatrice del suo (ex) programma che sicuramente e senza dubbio, sarà brava. Tuttavia, Medicina 33, senza Onder, sarà per forza Medicina 32: si vuole almeno dare a questo signore il valore di 1? Quindi non si scappa, 33 meno 1 fa 32.

Quali i motivi dell’allontanamento dell’ottimo giornalista? Il direttore generale Rai Luigi Gubitosi hai reso noti i motivi che hanno portato al fine rapporto, nonchè al licenziamento del giornalista e conduttore televisivo dal Servizio Pubblico, citando limiti di età raggiunti (Onder ha 71 anni), e inoltre, l’asservimento a una legge che vieta la riassunzione di ex dipendenti Rai. Infatti, già in passato, il presentatore di Medicina 33 era stato dispensato dalla cura del programma e licenziato. In un secondo tempo, poi, fu riassunto con la titolazione di consulente esterno; lo stipendio assegnatogli in questa nuova veste era di cinquecento euro al mese: il suo compito consisteva nel produrre almeno quattro puntate del suo salottino medico-scientifico per la Rai.

Luciano Onder era andato in pensione nel 2008. Nel 2002, invece, era stato eletto vice del TG2 da Mauro Mazza, che allora era direttore. Quindi, ora, siamo all’ennesimo licenziamento. Tuttavia, questa volta, non è detto però, che la Rai possa non risentirne per il licenziamento del conduttore. Ci sono casi simili al suo che hanno visto perdenti quei dirigenti Rai che avevano appoggiato i licenziamenti. Quest’ultimi dirigenti, poi, sono stati forzati, dal giudice competente, a reintegrare ad esempio, Milo Infante, popolare giornalista e conduttore tv. Infante aveva protestato e fatto causa al Servizio pubblico perché, secondo il suo punto di vista, in una conduzione tv, era stato messo all’angolo su Rai Due. Milo ora, sempre su Rai 2, e dal 9 settembre conduce Senza peccati, un nuovo programma.

Ritornando ad Onder, pare che da Mediaset siano arrivate delle proposte. Così segnala Il Secolo XIX che riporta l’indiscrezione sul presentatore tv di Rai Due: “Mediaset – scrive il quotidiano – sarebbe già pronta a offrirgli una nuova collaborazione”. Al posto di Onder, ora, c’è Laura Berti. Non si sa se sia lei il professionista segnalato da Dagospia, il quale parlava di un contratto da 400.000 mila euro l’anno, che non è certo una cifra da spending review. Comunque sia, l’indiscrezione è partita qualche giorno fa, proprio da Dagospia, il noto blog di Roberto D’Agostino.

(A cura di Roberta Antelmi)

Braveheart aspetta la prossima occasione

Braveheart deluso

I no hanno vinto con 10 punti di vantaggio sugli avversari. Il 55% dei voti non ha voluto l’indipendenza della Scozia, l’affluenza record è stata ben dell’84 per cento. David Cameron è, nella sua soddisfazione, comunque già avanti con il tema, infatti pensa di dare le possibilità di “devolution” a queste forze autonomiste che sono sicuramente da tenere in considerazione. Oltre alla Scozia, anche l’Irlanda del Nord e il Galles potrebbero usufruire della visione progressista di Cameron. Infatti, oltre alla stessa Union Jack della Regina, anche il resto dell’Europa era in fibrillazione per i risultati di questo referendum made in Scozia. In caso di separazione le ripercussioni, si temeva, sarebbero state se non catastrofiche, perlomeno di importante rilievo per tutte le nazioni europee, prima, e extraeuropee dopo, visto che il mondo attuale è pur sempre eurocentrico. Almeno finché i Paesi dell’area cinese e giapponese non s’impossesseranno del mercato globale.
Se si pensa all’attimo prima del voto, ci si può rendere conto di come la situazione non fosse di facile previsione. Le pulsioni secessionistiche erano troppo pressanti per pensare a una loro defaillance. D’altra parte le forze reazionarie e, perlomeno da un punto di vista folcloristico e monarchico, quindi reali, hanno avuto da sempre uno spessore di grande resistenza alle spallate contrarie. Qualche dubbio di valore attuale era tuttavia nato in seguito a un evento/novità: il voto accordato ai cittadini anagraficamente legati alla qualifica di sedicenne.
Già, infatti, per qualcuno, l’opportunità di dare anche ai sedicenni la possibilità di partecipazione alla vita politica della nazione Scozia, era un vero punto interrogativo e uno spauracchio di non poco conto. È notorio come quell’età sia volubile. A tuttora non si hanno studi che segnalino la percentuale di votanti di quell’età che abbia scelto un fronte o l’altro, tuttavia, nel brevissimo futuro, sapremo se i sedicenni hanno avuto in simpatia la medievale Regina o avrebbero preferito vincere con Mel Gibson alias Braveheart.
A proposito di Braveheart, ad Agorà, solo alcune ore fa, è intervenuto Salvini che ha dichiarato di essersi recato in terra scozzese per rendersi conto di come ci si comporti in questi frangenti di scelta politica da parte della gente. Il signor Matteo Salvini è rimasto sconcertato e favorevolmente colpito dalla civiltà esistente tra i fautori del no e quelli del sì, quindi ha auspicato che qualcosa del genere avvenga in terra italica. Il dubbio ora è: ma il signor Salvini ha coscienza del partito (ovviamente, per i più distratti, è la Lega) nel quale milita e dei modi garbati imperanti in esso? Nell’attesa della risposta, si conclude che, per quanto la voglia di affrancarsi dalla nave madre sia, nella Scozia e in Lombardia, un segno comune di convergenza, Mel Gibson (Braveheart) e Salvini (Salvini), siano del tutto personaggi incompatibili.

 
A cura di Pietro Armani

Fabi-Silvestri-Gazzè, un trio… trionfale!

 

Il padrone della festa, dal 19 settembre

(ANSA) – ROMA, 29 LUG – “Il nostro disco non e’ piu’ solo un’idea, un esperimento, un’ipotesi. Ora c’e’ davvero, e ha anche un titolo. Persino una copertina”. Daniele Silvestri, a nome anche di Niccolo’ Fabi e Max Gazze’, ha annunciato sui social network la fine del lavoro in studio dell’inconsueto trio. E pezzo dopo pezzo, il puzzle del progetto musicale che vede riuniti i tra artisti romani, si va cosi’ componendo. I fan sono stati i primi a scoprire copertina e titolo dell’album che uscira’ il 19 settembre per Sony Music: Il padrone della festa. Sulla cover campeggia un albero rovesciato, con le radici – sulle quali sono incisi i nomi dei tre – che prendono il posto della chioma e viceversa. Ma basta girare l’immagine di 180 gradi e la prospettiva cambia. Dai rami penzolano un cuore pulsante, una mano con l’indice puntato, un nido con un uccellino, una bottiglia di veleno, un guerriero a cavallo, una farfalla, un paio di forbici e dolciumi di vario tipo: un albero della vita teorizzato dalla superband.

I tre, nella loro carriera, hanno incrociato piu’ volte le loro strade, come le radici dell’albero, ma e’ la prima volta che danno vita a un progetto unitario che raccoglie la loro storia, le loro esperienze: nel disco ci sono brani cantati e suonati a sei mani con tutto l’entusiasmo e la voglia di scrivere di quando si inizia. “Sappiamo che stavate aspettando da mesi di sapere qualcosa in piu’ – scrivono i musicisti sulla pagina Facebook dedicata al progetto -. Vi abbiamo messi al corrente di quasi tutto, fra ospiti e chicche dallo studio di registrazione, cantanti ballerini, microfoni famosi e qualche strana incursione. stato un viaggio fatto anche insieme a voi. Questo viaggio da oggi ha un nome ed e’ tutto in un’immagine”. Poco prima di pubblicare foto e titolo del disco, che dopo il primo singolo “Life is sweet” sara’ anticipato da “L’amore non esiste”, dal 22 agosto in radio e store digitali, Daniele Silvestri commentava cosi’ in un post: “Missione compiuta. La prima fase, quella piu’ nascosta e “intima” (scrittura, esperimenti, poi registrazioni, arrangiamenti, missaggi..) si e’ appena chiusa. E a breve iniziera’ la seconda, diametralmente opposta, in cui ci affacceremo sul mondo per gettarvici dentro. E sara’ li’ che cominceremo a capire se la nostra piccola grande scommessa ha avuto senso o no. Anche se a dire il vero, per noi e’ gia’ ampiamente valsa la pena di farlo, e vi assicuro non era scontato”. “Da questi mesi di laboratorio musicale usciamo stanchi ma molto soddisfatti – ha scritto ancora il cantautore -, forse persino orgogliosi del nostro lavoro. Adesso io e i miei due colleghi capelloni ci prenderemo qualche giorno per ricaricare le batterie”.

“Il padrone della festa” uscira’ contemporaneamente anche in Francia, Germania, Spagna, Belgio, Olanda e Svizzera e da settembre la superband sara’ impegnata in tour: prima sui palchi europei (26 settembre in Germania a Colonia; il 27 a Berlino; il 30 a Parigi; il 1 ottobre a Londra; il 3 ottobre Bruxelles, il 4 Amsterdam, il 9 Valencia, il 10 Madrid, l’11 Barcellona), poi nei palasport italiani. Il 14 novembre Fabi, Silvestri, Gazze’ saranno a Rimini (105 Stadium), il 18 a Roma (Palalottomatica), il 21 a Modena (Palapanini), il 22 a Padova (Palafabris), il 24 a Milano (Mediolanum Forum), il 28 a Napoli (Palapartenope) il 3 dicembre a Firenze (Nelson Mandela Forum), il 5 a Torino (Palaolimpico). (ANSA).  Ovviamente l’autunno targato 2014 non si limita ai tre moschettieri delle note, ma si arricchisce anche con altre novità. Infatti aspettiamo anche la nuova produzione di Marco Ligabue, Grignani  e Mimmo Parisi. Quest’ultimo, cantautore bolognese con venature rock, ha già in circolazione un singolo che si chiama “Dammi una mano”.

Fogerty forever

Ha invocato la pioggia di Woodstock e alla fine è arrivata. È figlio di quella generazione imbattibile, quella che ti fa dire “Ma come fa?”, suona con la facilità di chi non ha mai fatto altro ed è capace di far divertire chiunque
     
8 luglio 2014
                                                                                John Fogerty, foto Getty Images
Di Michele Primi
Ha invocato la pioggia di Woodstock e alla fine è arrivata. John Fogerty, 69 anni portati con grinta, capello tinto, voce intatta e camicia di flanella blu (in vendita nel merchandising), una raffica di chitarre Gibson, Fender e Ibanez con il volume alzato al massimo a tagliare assoli e una band di ragazzini (tra cui suo figlio Shane) che hanno imparato a suonare le canzoni dei Creedence Clearwater Revival prima di imparare a scrivere, ha rovesciato su Milano mezzo secolo di storia della musica popolare americana. Born on the Bayou, nato sul Bayou, il marchio di fabbrica delle paludi del Sud, tra Mississippi e Alabama, dove in realtà John non è nato, ma dove da sempre va a cercare le sue radici.
Come nel video di Mystic Highway dall’ultimo album del 2013 Wrote a Song for Everyone: lui a bordo di una Dodge rossa scassata in giro sulle strade dell’America profonda, tra boschi e pascoli, in mezzo ad altra gente vestita con la camicia di flanella come lui. John Fogerty in realtà è nato a Berkeley, è cresciuto nella San Francisco degli hippy e ha formato il suo spirito ribelle scappando dalla guerra in Vietnam, che lo ha lasciato vivo e con addosso solo la ferita della perdita di molti amici ed una canzone, Fortunate Son. Creedence era il suo compagno di scuola Creedence Newball, Clearwater la pubblicità di una birra, Revival tutto quello che aveva e che ha ancora da dire.
John Fogerty è figlio di quella generazione imbattibile, quella che ti fa dire “Ma come fa?”, suona con la facilità di chi non ha mai fatto altro ed è capace di far divertire chiunque, sia che si trovi davanti un raduno di cowboy del Texas che il pubblico inzuppato dell’Ippodromo di Milano. «Grazie per essere rimasti sotto la pioggia» dice dal palco. Non è mai stato qui, ma non importa. Come ha fatto il suo allievo prediletto Bruce Springsteen anni fa a San Siro sotto al diluvio (quando cambiò la scaletta per fare Who Will Stop the Rain dei Creedence), John ringrazia suonando ancora più forte: la pioggia comincia con Have You Ever Seen the Rain?, lui ha già fatto i classici Suzie Q, Green River e I Heard it Through the Grapevine e spara a raffica Down on the Corner, Up Around the Bend, Bad Moon Rising e Proud Mary, e poi se ne va. Senza aggiungere altro, perché di fronte alla storia non ce n’è bisogno.
La storia, in Italia, continua con il cantautore bolognese Mimmo Parisi. Per l’autunno, oltre alle gocce di pioggia per l’estate ormai fuori portata, aspettiamo di questo autore appassionato nuove canzoni. Come apripista conosciamo intanto le note e la storia di Dammi una mano, brano già presente sulla rete (anche con il video che possiamo vedere sul canale Youtube di Mimmo Parisi). Per quelli che, giustamente presi da attacchi di vacanzite acuta, non hanno avuto orecchi ed occhi per le novità, ricordiamo che Dammi una mano ha come tema principe, la disabilità. Soprattutto da parte di chi pensa che il mondo sia un luogo dove starsene senza essere convocati dai problemi veri.
                                                               Mimmo Parisi, foto Getty Images

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